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lunedì 27 dicembre 2010

My Christmas Carol

Dicembre 2010, Londra. Vigilia di Natale. Mattina
E.S., presidente di una grossa corporazione che gestisce centri commerciali in metà Europa è nel suo ufficio. Sono le nove di mattina.
Improvvisamente bussano alla porta: una persona trafelata si fionda quindi dentro l'ufficio con una serie di cartellette e incartamenti in mano: -Mi scusi, signore: c'è un traffico tremendo per via della vigilia, ed ho trovato pure la neve per strada.
E.S. alza lo sguardo dallo schermo del portatile che ha sulla scrivania, e tira un'occhiataccia al suo segretario, poi ritorna con lo sguardo e la concentrazione alle immagini del computer.
Mentre l'uomo appena arrivato deposita tutte le cartellette sulla scrivania accanto a quella presidenziale, e si avvicina alla parete per appendere il cappottone imbiancato dalla neve che sta cercando di togliersi velocemente, però, E.S. riprende la parola senza distogliere lo sguardo: -Lo so che c'è confusione, Mike. Ma lo sapevi anche tu che sarebbe stato così oggi. Potevi organizzarti meglio e partire qualche minuto prima, o forse vorresti dirmi che dovevi accompagnare i tuoi figli a scuola?
Mike si ferma vicino alla parete con la giacca in mano: -Ha ragione, signore. Mi scusi, non si ripeterà più.
-È già pronto tutto? Lo sai che domani non possiamo sbagliare. Ci sarà un sacco da lavorare, però.
Il repentino cambio di argomento da parte di E.S. lascia per un istante il giovane segretario con le sopracciglia alzate, ma poi torna l'abitudine al lavoro e subito risponde: -Naturalmente. Tutto organizzato sin nei minimi dettagli: domani mattina alle otto in punto saremo tutti quanti qui; non un solo dipendente si è azzardato di proporre scuse o prendere giorni di malattia. Sappiamo tutti quanti che ci sarà del lavoro duro da fare, ma siamo tutti pronti, stia sicuro, signore.
Il presidente accenna una specie di abbozzo di sorriso e poi i due cominciano la giornata analizzando conti e studiando strategie commerciali da applicarsi con l'anno nuovo.
Giunge finalmente la sera, si fanno le 19 e il grande edificio di uffici chiude. Mike e il presidente escono dallo stabile deserto.
-Uff, si è fatto tardi, ma è la sera della Vigilia. Signore, è sicuro di non voler venire da noi in questa cena di Natale?
Mike si rivolge con un sorriso amichevole al suo presidente, nonostante l'espressione stanca di entrambi, ma quest'ultimo lo guarda di sottecchi con un'espressione scura: -Sai bene cosa ne penso di Natale, per cui lasciami perdere. A domani.
E.S. arriva davanti alla casa, un po' defilata dal centro città. Grande, austera e vuota. Si avvicina alla porta e guarda il battacchio di ottone in stile antico. Il solito leone che tiene l'anello gli fa l'occhiolino.
E.S. rimane surgelato davanti alla porta e comincia a guardare il fregio, che appare statico e freddo come al solito. L'uomo fa spallucce e varca la porta d'ingresso, chiudendosela alle spalle con un colpo secco.
Serata. E.S. è da solo, in casa, in vestaglia e davanti al caminetto acceso in un salone molto grande. Si siede in poltrona con un bicchiere di brandy in mano, quando all'improvviso sente un rumore secco che risuona dalla stanza adiacente.
-Ma che...?
La porta si spalanca con un colpo secco e una figura evanescente si fionda dentro la camera, trascinandosi appresso delle catene attaccate a dei grossi macigni.
E.S. è letteralmente paralizzato da questa visione: l'uomo si avvicina al piano-bar, si versa una copiosa dose di scotch in un bicchiere e poi si posiziona malamente sulla poltrona da cui E.S. è schizzato via quando ha assistito a quella visione assurda.
Una veloce sgargarozzata di quasi tutto il bicchiere, un commentaccio a proposito del bicchiere che il fantasma continua a tenere con la mano sinistra, e poi stende il braccio puntandolo verso l'uomo, che sta abbandonando il terrore per cercare di capire chi sia quell'entità. Poi il fantasma comincia a parlare, come un fiume in piena avvolge l'uomo di parole: -Ebenizer Scrooge: suppongo che tu ti stia ricordando di me, sono Jacob, il tuo vecchio socio. Sono qui per lanciarti un messaggio: non fare il mio stesso errore, mio buon amico. Non isolarti e non morire da solo come ho fatto io. Non puoi portarti i soldi nella tomba, e finirai come me e a cercare di vedere la luce nell'oscurità dell'aldilà, senza una meta fino alla fine dei tempi. Questa notte riceverai la visita di altri tre spiriti, come me, che ti mostreranno come puoi cambiare. Ora devo andare, vecchio bastardo. Ricordati delle mie parole: i tuoi soldi non ti seguiranno nella tomba.
La figura evanescente scompare come in una specie di dissolvenza. Il bicchiere che stringeva in mano con un residuo di whisky cade sulla moquette con un tonfo sordo e macchiando in terra. Ci vogliono diversi minuti prima che E.S., sconvolto, si riscossa dalla sua catatonia.
-Il mio ex socio... Jacob?
Passano un paio d'ore, l'uomo molto preoccupato da questa strana storia è ormai in camera da letto, e sta per infilarsi fra il calore del piumone, quando uno scricchiolio scuote il corridoio fuori dalla camera.
La porta della camera da letto (chiusa a chiave, nonostante l'uomo fosse da solo) si spalanca di schianto con un rumore violentissimo. Ne entra una figura simile a una bambina di neanche dodici anni, meno incorporea del fantasma che ha visitato l'uomo solo un paio d'ore prima; si avvicina, gli acchiappa una mano e comincia: -Buona sera, Ebenizer. Io sono lo spirito dei natali passati e sono qui per farti rivedere come hai vissuto questo periodo dell'anno nel passato.
-Ma, ma io...
-Oh, taci, abbiamo fretta.
La ragazzina da uno strattone al braccio di E.S., la stanza cade nell'oscurità e improvvisamente i due si trovano sul balcone di un grosso condominio. La bambina continua: -Non possono vederci, né toccarci, ma noi potremo vivere questa storia in tempo reale, come un film. Vieni, Ebenizer: entriamo.
-Ma io...
-Non discutere, brutto idiota, guarda che cosa succedeva a Natale quando eri piccolo. Vedrai se non ti commuoverai quando rivedrai i tuoi genitori!
La scena è molto semplice: i due genitori e il ragazzino dai lineamenti molto simili a quelli di E.S. sono seduti intorno alla tavola. Su un mobile alla parete un televisore a colori da 28" manda in onda il telegiornale della sera. Uno sparuto albero di natale con quattro palline e quattro luci è nell'angolo opposto della cucina. Padre e figlio stanno discutendo piacevolmente.
-Papà... io glielo ho spiegato che pensare ad essere buoni una volta l'anno, e dimenticarsi degli affetti per il resto dell'anno è molto ipocrita, ma non ci sono santi di farglielo capire a quella testaccia dura.
-Sai bene che gli atei come noi sono sempre visti di cattivo occhio da chi non riesce a guardare oltre il lume del proprio naso, ma che cosa ci vuoi fare?
-Niente: l'importante è andare avanti per la propria strada tenendo il massimo rispetto per coloro i quali hanno invece deciso di seguire altre strade. Finché c'è rispetto, c'è tutto.
-Bravo, belle parole. E tanto ormai negli ultimi anni il valore spirituale di questa festa è andato sempre più scemando, in favore del valore commerciale. E secondo me invece non dovresti sottovalutare questa funzione, specie in vista di future ipotesi lavorative nel campo della grande distribuzione.
-Ma certo! Un'occasione del genere non ho nessuna intenzione di farmela sfuggire. Vaben, io sono stanco, finiamo di mangiare che vado a dormire.
La bambina guarda E.S. sconvolta: -Ma... ma.... ma che razza di cena della Vigilia sarebbe mai questa?
-Ma noi da sempre siamo at...
E.S. si interrompe, mentre la bambina comincia a singhiozzare rumorosamente, e quindi scoppia in un pianto disperato, prende per il braccio E.S. e lo tira indietro. Un istante di buio e i due si trovano di nuovo nella camera da letto di E.S., che si avvicina alla bambina e cerca di abbracciarla per rincuorarla un po', ma scopre che ella è evanescente come un fantasma, e non è in grado di toccarla.
Passano pochissimi istanti, e una seconda figura supera la porta della camera da letto. È un uomo altissimo, quasi un gigante: sarà alto almeno due metri e trenta, ha dovuto piegarsi in avanti per passare dall'uscio e ora rischia di dare una sonora capocciata al lampadario in vetro di Murano che scende dal tetto della camera. Non è solo altissimo, è letteralmente enorme: ha una rotondità non indifferente e il fisico di un camionista norvegese in piena attività. Non appena entra e assiste a quella scena, diventa furioso: -Ma che cosa succede? Ma questo non mi era mai successo! Ebenizer, che cosa hai combinato?
-Ma io non...
Afferra l'esile (in confronto...) E.S. per il braccio sinistro e lo scuote violentemente: -A quanto pare con te sarà più difficile del previsto, eh? Bene, niente paura: io sono lo spirito del natale presente e ti farò scoprire che cosa ne pensa di te chi lavora con te, i tuoi collaboratori e soprattutto... vieni con me!
Un altro strattone, di nuovo buio, e di nuovo luce. In mezzo alla strada, nel quartiere dove abita Mike. Lo spirito del Natale presente prende E.S. di peso e lo spinge contro la porta di casa. E.S. la attraversa come un fantasma, ma poi si spalma contro la parete opposta a circa un metro con un tonfo secco.
Mentre il povero E.S. si allontana dalla parete e comincia a tastarsi il naso per capire se è tutto intero (rendendosi conto che la sua immagine non si riflette nello specchio accanto al punto ove è andato a sbattere) il fantasma lo prende per l'avambraccio destro e lo tira sulla sua destra, fino a raggiungere il salone della casa di Mike.
La tavola è apparecchiata, e sono presenti varie decorazioni natalizie, compreso un albero di natale piacevolmente decorato, delle calze rosse attaccate a una mensola sulla parete e persino due palline rosse attaccate alla carrozzina parcheggiata a capotavola.
Mike e la moglie sono in piedi ai lati della carrozzina, su cui è seduto un bambino dell'apparente età di otto anni, senza capelli né sopraciglia, con degli occhi di un blu così profondo che potresti annegare nel suo sguardo. La sua espressione è molto serafica, e mentre gli altri parenti stanno discutendo del posto di lavoro di Mike, prende la parola con qualche difficoltà ma un tono risoluto: -Smettetela. D'accordo, non è venuto qui, ma ha comunque rispetto di noi, e noi dobbiamo rispettare le sue scelte spirituali. Prima di tutto perché noi non possiamo giudicare un uomo solo perché ha deciso di non festeggiare il Santo Natale, giudicare è un compito di Dio. Secondo, perché comunque è Natale, e dobbiamo mostrarci comprensivi e rispettosi per il nostro prossimo, soprattutto per l'uomo che ha fatto così tanto per la nostra famiglia.
Commenti di approvazione girano per la tavola, sopra tutti quanti quello della madre: -Bravo Timmy. Belle parole, le tue. E in fondo anche se domani tuo padre sarà in ufficio già di mattina presto, sarà comunque un Natale splendido.
Lo spirito del natale presente guarda la scena strabuzzando gli occhi, poi si gira di scatto verso E.S.: -Ebenizer vuoi spiegarmi che diavolo significa?
Gli da uno spintone e in un breve istante di oscurità ritornano nella camera da letto, dove la bambina è ancora lì in lacrime. Una terza figura con un saio nero e incappucciato entra nella stanza, mentre E.S. prende la parola: -È quello che sto cercando di dire da un pezzo. Prima di tutto io...
E.S. si ferma osservando la figura incappucciata che lo guarda puntandogli contro una mano ossuta che fa capolino da una manica troppo larga.
-Spirito del natale futuro, eh? E vuoi portare Ebenizer Scrooge con te a mostrargli che cosa lo aspetta nel natale del futuro, giusto? Bene. Aspetta uno stramaledetto istante, adesso.
Un ruggito cupo risuona per la stanza, ma lo spirito del natale presente gli indica la bambina che piange e gli fa: -Un minuto, Bruce. C'è qualcosa che non va...
-Ecco, appunto. Intanto io non so chi diavolo sia questo Ebenizer Scrooge che continuate a cercare, anche perché io mi chiamo Erbert Soorce! E avevo cercato di spiegarlo a quell'altro squinternato di... come si chiama, Jack?
-Jacob- lo corregge lo spirito del natale futuro con una voce cupa.
-Sì, Jacob. Il mio ex socio? Ma quale ex socio? Io vinsi alla lotteria dieci anni fa e ho aperto i grandi magazzini Soorce da solo! Quale cavolo di socio?
Si gira, guardando in direzione del terzo spirito: -E ora? Vuoi farmi vedere il natale futuro? Andiamo pure! Vuoi mostrarmi Mike e la moglie che piangono sulla tomba del piccolo Timmy? Lo so già. Lo sappiamo già tutti quanti: Timmy è un malato terminale di cancro. Gli hanno amputato le gambe, e ogni settimana si sottopone a massacranti cicli di chemioterapia e radioterapia, che lo lasciano debilitato anche per due giorni. Eppure lui per primo se ne è fatta una ragione. Ha una forza incredibile, quel povero bambino: il suo semplice sorriso mi ha insegnato più cose di quante abbiate cercato di farmene imparare voi tre, anzi quattro squinternati in una intera stramaledetta serata. Altrimenti perché pensate che sono io a pagare tutte le sue costosissime spese mediche?
La bambina, continando a singhiozzare, alza lo sguardo e chiede, incredula: -Sei tu che paghi le sue spese mediche?
-Andiamo: Mike con il solo stipendio di segretario non riuscirebbe a donare alla sua famiglia quella dignità che li fa andare avanti ogni giorno! Lo considero un brav'uomo, che non merita di vivere un dolore così grande!
Dalla porta spuntò Jacob, puntando baldanzoso il dito contro Erbert: -Ma Mike domani sarà al lavoro, anzi lo saranno tutti quanti. L'hai detto tu stamattina, e lui l'ha confermato. Avete detto che ci sarà molto da lavorare! Mike sarà lontano dalla famiglia...
-E certo! Le decorazioni non si metteranno da sole in sala, e c'è bisogno di cucinare per tutti i dipendenti, ma siamo tutti quanti felici di poter passare una giornata in compagnia e in allegria, forse in nome del natale, ma soprattutto in nome del rapporto di fiducia e amicizia che ci lega tutti quanti. Mike mi ha promesso che con molti dipendenti verranno di mattina presto, mentre i familiari ci raggiungeranno solo a ora di pranzo!
-Cosa?
-Domani abbiamo il pranzo aziendale di natale, nonché la festa per tutti i figli dei dipendenti. Come ho già fatto negli ultimi cinque anni mi vestirò da Babbo Natale e consegnerò regali a tutti i bambini dei dipendenti.- Erbert si fermò, fece un sospiro e i suoi occhi divennero lucidi. -Me lo chiese Timmy quando era più piccolo, e io non ho avuto bisogno di pensarci un solo istante, prima di promettergli che avrei organizzato la festa di natale aziendale ogni anno. Visto? Non c'è bisogno di spiritualità per fare delle buone azioni.
I quattro fantasmi uscirono dalla stanza, visibilmente commossi, tenendosi spalla su spalla. Aver sbagliato il proprio lavoro è seccante, ma aver cercato di lanciare un messaggio a una persona come Erbert Soorce era stato l'errore più stupido che mai si potesse fare. L'ultima frase che echeggiò nella stanza, prima che la porta si richiudesse, fu quella di Erbert, che concludeva: -Ad ogni modo, se vorrete unirvi a noi domani, ne saremo molto lieti tutti quanti. Per me il natale non è altro che un giorno festivo sul calendario, in cui si chiude bottega. Ma questo non ci proibisce di riunirci tutti insieme per un momento di spensieratezza, lontani dallo stress e dal tran tran quotidiano del lavoro, riscoprendo l'altissimo valore dell'amicizia, e della famiglia.

giovedì 23 dicembre 2010

L'edificio

Il paese non è molto grande, mi ricorda una via di mezzo fra Città Giardino e Borgo Valsugana. Sulla stradina fra le case c'è il classico groviglio di auto parcheggiate, uno, forse due posti liberi già da tempo. Ma noi stiamo aspettando nascosti nella mia Ford parcheggiata dal pomeriggio.
Poi, finalmente, arriva. Si tratta di una vecchissima Peugeot 205 rossa, mezza arrugginita, mezza scassata e con i segni di un tamponamento sulla fiancata anteriore sinistra molto violento, riparato alla pene di segugio, e con segni di ruggine che fanno intendere si tratti di un incidente molto vecchio.
Gaetano ha attirato la mia attenzione indicandomi l'auto che arranca verso un parcheggio poco scostato davanti a noi: -È il momento. Tieniti pronto e andiamo.
Guardo l'auto con molta indecisione: mi viene molto difficile credere che sia la porta verso quella che promette di essere un'avventura, ma non solo per rappresentare un modo interessante di trascorrere una notte, quanto piuttosto per capire una volta per tutte che cosa succede lì sotto in Ortigia, dove dovremmo essere diretti fra poco.
La persona che scende dalla 205 è un uomo basso, tarchiato, sulla sessantina. Pochi capelli bianco-giallognoli e una barba incolta che incornicia una faccia piena di rughe e nei; due occhietti neri e sorcini che sembrano scrutare in tutte le direzioni. Sbatte in malo modo lo sportello e si allontana in direzione di un portone sulla sinistra. Ci sono delle palazzine di due-tre piani che sembrano il risultato dell'edilizia moderna degli anni '90, e appaiono con colori gradevoli che non si stagliano bene nell'oscurità, e l'interno dell'androne da cui si riesce a vedere dall'esterno le pareti di cemento armato lasciate grezze e con il segno delle assi di carpenteria che hanno creato il box per il calcestruzzo.
Restiamo fermi in auto, in attesa. La luce sulla scala si spegne e rimane solo la fioca illuminazione interna. Non guardo Gaetano, sul sedile del passeggero, ma è a lui che mi rivolgo: -Ma... non l'ha neppure chiusa a chiave?
-Non credo che la serratura dello sportello funzioni. Anzi: guarda in che condizioni la tiene: pensa che nessuno potrebbe mai rubargliela.
Gaetano esce silenziosamente dall'auto. Lo seguo e ci avviciniamo con fare furtivo a quel catorcio, poi quasi strisciando la raggiungiamo e montiamo a bordo. Solo un attimo, e poco prima che Gaetano provi a strappare i cavetti per accenderla, mi scopro a fare un gesto molto americano: abbasso il parasole consunto sul lato guidatore, e il mazzo di chiavi ne salta fuori laconico.
Ci guardiamo nell'oscurità, soffocando una risata, poi con molta attenzione Gaetano inserisce le chiavi e accende il quadro. Un respiro profondo e gira la chiave. Il motore parte al primo colpo: retromarcia e ci allontaniamo lentamente e silenziosamente, poi usciamo dal palazzo e via a tutta velocità.
Percorriamo strade non ben identificate, in mezzo ad agglomerati di case, per quasi un'ora, giungendo infine a Siracusa dal lato del Villaggio Miano. Gaetano continua tranquillo in direzione di Ortigia, poi finalmente prendiamo la sopraelevata che, accanto al ponte umbertino, sale in direzione del retro di Ortigia.
L'isola di Ortigia appare come un agglomerato di periferia di un ambiente modernissimo. Ci sono grattacieli, ma in mezzo sbucano palazzi antichi e reperti archeologici (la sopraelevata ha un gigantesco pilone di metallo che si spalma al centro del Tempio di Apollo (mafia e interessi economici hanno prevaricato sull'interesse storico?). Arriviamo quasi all'altezza del lungomare, e ci fermiamo. Qualcuno arriva da un bugigattolo fra due grattacieli, ove appare una piccola costruzione mezza diroccata. Non facciamo domande, e neanche lui ne fa a noi: si limita ad accompagnarci dentro la costruzione.
Prendiamo una scala, e scendiamo subito sotto al livello della strada. A questo punto percorriamo un corridoio molto lungo, scarsamente illuminato e con diverse infiltrazioni d'acqua e macchie di muffa in giro, anche se appare come di muratura.
Dopo diversi minuti di camminata arriviamo davanti ad una porta. Il tizio che ci accompagna apre la porta e ci fa cenno di entrare, poi la chiude rimanendo fuori.
Siamo in una specie di montacarichi in metallo arrugginito. C'è una sola lampadina che pende dal tetto: Gaetano mi guarda con un'espressione interrogativa. Io mi avvicino alla porta, ove c'è una pulsantiera consunta con solo due tasti. Premo quello più in alto e il montacarichi si avvia con uno scossone e una serie inquietante di cigolii di metallo: -Ormai siamo arrivati a questo punto, non possiamo fermarci...
L'ascensore si muove ad una velocità più o meno normale, e davanti all'ingresso scorre solo una parete impolverata e bisunta. Passano almeno cinque minuti, quando finalmente ci troviamo davanti ad un'apertura con la porta scardinata e una serie di fili elettrici che vengono fuori dalla serratura. Stiamo per saltare fuori al volo, ma l'ascensore si ferma all'altezza di questo strano piano. Scendiamo e giriamo lungo un corridoio che ha una parete sulla destra e una serie di finestre sulla sinistra. Dalle finestre filtra la luce notturna, ma il cielo appare lentamente illuminarsi, e mentre camminiamo il sole comincia molto lentamente ad alzarsi.
In contrasto con la porta dell'ascensore arrugginita e scardinata, questo ambiente appare molto pulito e ordinato.
Passano ancora diversi minuti di percorso, poi il corridoio finisce su una specie di porta-finestra che da su una passerella di metallo. Apro questa porta e continuiamo lungo la passerella, mentre i primi raggi di sole rossastri sulla nostra sinistra stanno illuminando l'ambiente.
Non siamo ad un'altezza eccessiva (più o meno all'altezza di un quarto piano medio), e la passerella finisce sul tetto dell'edificio di fronte a noi. Dietro di noi c'è un grattacielo di vetro e cemento, la costruzione ove ci dirigiamo invece cade letteralmente a pezzi.
Appena lasciamo la passerella e cominciamo a calpestare la terrazza, ci sono diversi inquietanti scricchiolii che vengono dal pavimento: diverse volte ci muoviamo con molta circospezione, trattenendo letteralmente il respiro. Finalmente arriviamo in una specie di costruzione con una porta, e la apriamo trovando una scala che scende al piano inferiore. Entriamo tranquillamente e scendiamo, trovandoci in un ambiente molto grande. Sulla sinistra c'è una specie di porta-finestra che da su un balcone a raso (praticamente una vecchia ringhiera su una struttura di 10cm). Sul lato destro vicino alla finestra scende una scala, mentre al centro della grande stanza c'è una struttura stranissima. All'altezza di circa 50cm dal pavimento c'è un grosso piano inclinato, che appare come una specie di gigantesco scivolo che percorre verso il piano inferiore. Sulla superficie appaiono delle scritte in vernice bianca con delle frecce che indicano la discesa e un paio di volte appare la parola "USCITA".
Davanti a noi, avvicinandosi a questo piano, c'è un punto dal quale si potrebbe saltare, e c'è una specie di ringhiera di metallo dipinta di giallo, alta 15-20cm rispetto al piano, e mi sono avvicinato ad un punto in cui c'è un cartello di lamiera metallizzata con un cartello di senso vietato e le parole "DIVIETO DI ACCESSO".
Mi giro verso Gaetano: -Io non sono qui per rispettare dei divieti. Andiamo di qua, o vuoi prendere le scale e vediamo come va a finire?
Gaetano mi risponde con circospezione: -Preferisco affrontare le scale.
Quindi si gira e torna indietro verso la rampa di scale. Lo seguo con lo sguardo finché sparisce, poi mi guardo intorno nell'ambiente e, infine, salgo sulla struttura e metto la mano destra sul corrimano sopra il cartello di divieto per spingermi e scavalcarlo, ma in quella una voce mi fa girare di scatto: -Da lì non è consentito. Conosci le regole del gioco, dobbiamo fare le scale.
C'è una ragazza. Capelli biondi, lisci, lunghi fino alle spalle. È vestita in modo pressoché normale, ed ha in mano una cartelletta con, legato in punta, una specie di apparecchio.
-A dire il vero non mi sono state spiegate bene le regole, e comunque non credevo di fare niente di male.
-Non mi interessa. Devo multarti: mi devi cinque euro.
La ragazza preme qualche tasto sull'apparato nella cartelletta, poi si avvicina tendendo la mano destra verso di me. Infilo una mano in tasca e le rispondo: -Allora dammi tu quindici euro, perché ne ho venti addosso.
-Non c'è problema.
La ragazza si infila la mano in tasca, prende il portafogli e ne toglie due banconote: una da dieci e una da cinque.
Io prendo il portafogli, guardo i venti euro, poi le restituisco i dieci euro che mi ha dato lei: -Ah, no. Ricordavo male: ho dieci euro. Tengo i cinque di resto.
Lei non batte ciglio e riprende in mano i dieci euro, li rimette nel portafogli soddisfatta e poi mi indica la scala da cui è sparito Gaetano un minuto prima: -Vogliamo andare, adesso?
-Naturalmente.
La seguo. Cominciamo a scendere la scala: sono due rampe contrapposte che riportano davanti alla porta-finestra del balcone del terzo piano, ma a questo punto l'ambiente appare come un piccolo androne di piano, con delle pareti accanto alla finestra e delle porte di legno. Il legno appare marcio, bucato e danneggiato dal tempo e dall'umidità. Mi avvicino alla continuazione della rampa per scendere di un altro piano, ma la ragazza mi ferma: -Aspetta. Sai che dobbiamo tirare i dadi ogni volta, e dovresti raccogliere qualcosa da ogni piano.
La ragazza si infila una mano in tasca e ne estrae tre dadi (sono tre sassolini scolpiti a forma di cubo alla peggio, con i puntini sulle facce che sembrano piuttosto delle macchie di unto). Li getta e li raccoglie non appena si fermano, mentre io mi avvicino alla porta-finestra e la apro con attenzione. La porta si scardina e acchiappo al volo il vetro che sta per cadere. Lo poggio a terra, poi mi inginocchio e guardo la base della ringhiera, dove il balcone appare diroccato e seminato di sassolini. Prendo un sasso grosso come mezzo limone, e lo porgo alla ragazza: -Dammi subito quei dadi, d'ora in avanti li tengo io. Tu tieni questo.
Mi guarda con stizza, come se le avessi rovinato il gioco, ma mi porge i dadi. Le do il sasso e mi dirigo di nuovo sulla scala. Scendiamo al secondo piano e lancio i dadi in terra. Cinque, cinque, due. Dodici, li raccolgo con la mano destra, mentre con la sinistra prendo una scheggia di vetro che c'è per terra e la porgo di nuovo alla ragazza. Lei la prende in silenzio, ma mentre mi avvicino alla scala per scendere ancora, lei tira un calcio ben assestato alla porta finestra. Una delle due ante di legno e la ringhiera si staccano di netto e precipitano rumorosamente. Guardo la ragazza con un'espressione stupita, ma lei mi supera sulle scale e scende al piano inferiore. Lì le scale sono finite, e la porta finestra conduce a una specie di pozzo luce. Da una porta a sinistra delle scale esce Gaetano, in silenzio. Non mi guarda neppure, né da qualche cenno di saluto, e io faccio altrettanto. La ragazza esce sul pozzo luce, camminando tranquillamente sulle macerie della porta e della ringhiera cadute dal piano superiore. Noto che sta calzando degli stivaletti di pelliccia nera. Usciamo io e Gaetano, e raggiungiamo un punto sul terrazzino che da su una specie di grosso tombino segmentato sul lato opposto alla finestra.
Gaetano e io ci avviniamo al lato sinistro di questo tombino, largo una settantina di centimetri e lungo un paio di metri. Ci sono una quindicina di coperchi di metallo che sembrano collegati fra di loro, con una specie di meccanismo telescopico.
Affrontiamo il primo coperchio, che ha una specie di serratura arrugginita: un paio di calci ben assestati e si sgancia. Cominciamo a far scorrere tutti questi coperchi sulla sinistra, che si sovrappongono uno sull'altro.
Subito sotto appare una specie di scaletta pieghevole: sull'estremo destro c'è un gancio che molliamo, e lentamente facciamo scendere questa scaletta, che si appoggia a una scala in muratura poco più larga che appare in basso.
Io e Gaetano ci guardiamo, e in quella la ragazza mi si fionda letteralmente addosso, gridando: -Fermi! Non possiamo andare avanti, non prima di aver tirato i dadi! Non sappiamo che cosa potrebbe succedere!
Mi strappa letteralmente di mano i dadi e li lancia a casaccio, tanto che uno casca proprio dentro questo tombino e finisce da basso, ma ora lei appare più tranquilla.
Guardo in alto: i balconi appaiono molto vicini sulla nostra destra (meno di due metri) e dall'esterno è molto più evidente la condizione precaria in cui si trova l'intero palazzo. Faccio un segno a Gaetano, che mi fa subito il segno del pollice in alto, poi si infila nel tombino senza toccare la scala e mette i piedi sul lato destro della scala di muratura, nel poco spazio che c'è fra la scala stessa e la struttura di metallo che ci si è appoggiata sopra. Guardiamo in basso: sotto la scala c'è una specie di vetrata a gradini, e sotto la vetrata appare la Carrozza del Senato.
-Eh? Ma siamo finiti a Palazzo Vermexio?
Gaetano scuote la testa: -No, ma siamo comunque vicini: già da qualche anno era stata nascosta. Però c'è qualcosa che non mi convince.
Gaetano si piega sulle ginocchia, e appoggia con molta delicatezza una mano al centro di uno scalino della scala metallica, premendo verso il basso. Subito uno scricchiolio sinistro e un piccolo fiotto di polvere bianca si molla da sotto la scala e si spalma sul vetro sotto di noi: -È in condizioni disastrate: forse la scala di metallo regge, ma quella sotto crollerà di netto seppellendo la carrozza.
-Certo, e guarda in alto- lo interrompo. -Tutti i balconi sono cadenti, e la vibrazione di quel crollo tirerà giù tutto il resto. Anche questa brava ragazza ha tentato di smuovere le acque con quella pedata.
La ragazza ci guarda con un'espressione inquientata, e poi si gira per scappare in direzione della porta-finestra da cui siamo usciti, ma subito Gaetano balza fuori e la spinge in avanti, mentre le stendo la gamba sinistra davanti ai piedi, facendola inciampare e cadere con violenza a terra.
Cerca di rialzarsi, ma Gaetano le è sulla schiena subito. Riesce ad alzare la testa (il naso le comincia a sanguinare lentamente) e mi guarda, mentre io prendo la radio dalla giacca e chiamo: -Ok, potete raggiungerci tutti subito. Situazione sotto controllo.
Mentre giunge un "ricevuto" dall'altra parte, la ragazza, sconvolta, mi chiede quasi gridando: -Ma come? Non è possibile! Conoscevi le regole: niente telefonini cellulari.
La guardo con un sorriso: -Primo, le regole le conosce quel cretino a cui abbiamo fregato la macchina un paio d'ore fa. Secondo, questo non è un cellulare, e terzo non dovevo rispettare nessuna regola, e non l'ho fatto sin dall'inizio: mi hai fatto una multa di cinque euro, ma sei tu che hai pagato cinque euro a me, e non io a te.
Mi guarda, e io mi giro di nuovo a guardare i balconi sopra di noi.
Poi il buio
Apro gli occhi, e cerco di mettere a fuoco la proiezione dell'ora: sono le quattro e venti di mattina... sento il caldo di Lucky sotto al braccio, lo tiro un po' su: -Buongiorno Lucky. Io sono stanco di dirti che non è possibile che mi fai fare sogni del genere ogni volta che ti permetto di dormire insieme a me... ma ti rendi conto che adesso perderò diverse ore solo per digitarlo? (-:
Ma come sempre, mi sono divertito molto! ((-: