martedì 22 febbraio 2011

Quando piove sul... bagnato!

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Siamo in sei, a bordo di un semicabinato bianco, al largo dell'area della Mazzarrona.
Non conosco le persone che ci sono assieme a noi, ovvero: non le ho mai viste prima, ma nel sogno so benissimo di conoscere tutti da un sacco di tempo.
Non è estate, direi che è piuttosto autunno inoltrato: il cielo è molto nuvoloso, il vento va lentamente a peggiorare e nel giro di pochi minuti le onde, che erano già una brutta increspatura della superficie marina, diventano alti cavalloni che sferzano l'imbarcazione da ogni lato.
Io non sto conducendo, ma sono accanto al pilota e gli grido delle indicazioni, sovrastando il rumore del vento e dell'acqua, e le voci delle altre persone che si stanno occupando di non cadere fuori bordo e di verificare anche che la barca non si ribalti né vada a sbattere contro qualcosa (almeno una volta ho in mente la voce di uno dei sei che ci grida di scartare sulla sinistra, perché a destra ci avviciniamo a uno scoglio). Non ci sono altre imbarcazioni in acqua e, sebbene ci troviamo vicini ad una insenatura che permetterebbe di approdare, ho l'impressione che anche la città sia mezza deserta.
Con un clamoroso colpo di mano mi allontano dal pilota in direzione della fiancata sinistra della barca, che si sta ponendo parallelamente alla linea di costa. Prendo al volo il gancio/pagaia e ne allungo il manico telescopico, poi (mentre le oscillazioni della barca rischiano veramente di farci volare tutti quanti fuori) inficco il gancio in acqua due o tre volte e riesco, alla fine, ad acchiappare una corda sintetica che ho intravisto galleggiare in acqua già da un pezzo.
Il colpo di mano riesce: siamo a circa venti metri dalla costa, e questa corda è lunga almeno il doppio e finisce in costa, dove è attaccata stabilmente a una bitta che appare in mezzo agli scogli.
Comincio a tirare questa corda, e grido agli altri di darmi una mano, per cui tutti (pilota compreso) si accodano e tirando questa cima ci trasciniamo con tutta la barca dentro l'insenatura e ormeggiamo, riuscendo con non poca difficoltà a scendere a terra. Poi, con molta fatica riusciamo persino a tirare in secca l'imbarcazione. Da quando siamo riusciti a scendere a terra il vento si è placato, ma in compenso comincia a piovere con una certa decisione.
A questo punto, come se non fosse letteralmente successo niente, ci salutiamo e io raggiungo una camera d'albergo che da sul mare quasi di fronte a dove abbiamo lasciato la barca. La pioggia battente ci ha reso letteralmente zuppi (siamo vestiti con abiti normali: niente cerata, niente stivali, niente di utile a ripararci come si deve), per cui quando arrivo in albergo mi spoglio, mi faccio una doccia rovente e infine mi cambio. Saranno passate un paio d'ore, e vengo raggiunto in camera da uno degli amici con cui eravamo in barca. Il tempo si è calmato quasi del tutto, e io esco sul balcone della camera d'albergo per fumare una sigaretta. È in questo frangente che mi rendo conto di una cosa: l'insenatura è sulla destra, e ancora più sulla destra, un tantinello al largo, in mezzo al mare si alza una gigantesca colonna d'acqua (una specie di fontana dal diametro di una decina di metri che vomita acqua a un'altezza di circa una ventina di metri. L'immagine della colonna d'acqua in mezzo al mare mi lascia a bocca aperta, ma prima che possa dire mezza parola, è l'amico che mi ha raggiunto che mi spiega di che si tratta.
C'è un tubo dell'acquedotto sottomarino, che dovrebbe dare acqua in Ortigia, e che si è danneggiato a causa del maltempo: quello che vediamo è il risultato della pressione non indifferente dell'acqua.
Mentre sto per chiedermi quando avrebbero intenzione di chiudere l'acqua per capire come effettuare una riparazione, l'amico mi batte una pacca sulla spalla. Il gesto mi sveglia, e mi ritrovo sul mio letto in una fredda domenica pomeriggio d'inverno. Mah, di tutti i sogni strani, questo secondo me meritava un po' d'attenzione.