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giovedì 9 agosto 2012

Il lavoro del futuro

Il mio nome è Marco. Mi hanno detto che è un nome importante, che era il nome di uno dei quattro apostoli del vangelo. Non so cosa significhi, me lo ha spiegato anni fa un nostro vicino di casa, una persona anzianissima e con i capelli e la barba grigi come la cenere. Si chiamava Matteo, ed è morto alcuni anni fa, ma prima mi ha spiegato questa storia sull'origine del mio nome, mi diceva che anche lui aveva il nome di uno degli apostoli, ma non ho mai ben capito come funzionasse la cosa. Aveva a che fare con un libro antico, ed un culto passato di cui sono rimaste poche tracce, nel mondo moderno.
L'ingresso nel XXIII secolo è stato meno doloroso del previsto, e oggi, 4 gennaio 2201, mentre cammino lungo la strada osservo la città intorno a me con occhi dolci, ripensando appunto al passato.
Campobasso è cambiata tantissimo solo negli ultimi vent'anni, figuriamoci quanto può essere cambiata nel corso dei secoli. Adesso, mentre guardo con poco interesse edifici antichi, risalenti forse a centinaia di anni fa, sepolti da immondi casermoni di cemento armato, mi chiedo sul serio se anni di rivoluzione e di battaglie ci hanno portato sul serio a quello che avremmo vo‬luto sin dall'inizio, o semplicemente se qualcuno ci ha dato solo uno spazio dove credere di essere ancora uomini liberi.
La povertà è ovunque, la vedi agli angoli delle strade, la vedi nella faccia delle persone, la vedi nelle case. Gli edifici sono tutti quanti scrostati, con i mattoni ed il cemento a vista, le finestre arrabattate ai muri con manate di calce ed intonaco messi in maniera pressapochista. Ci sono vetri rotti riparati con pezzi di nastro adesivo, sagome di alberi rinseccoliti. I tetti di tutti gli edifici sono costellati di pannelli fotovoltaici, e grazie a questo tutti quanti hanno a disposizione la corrente elettrica gratuitamente. Gratuitamente, già, ma in realtà a che prezzo? Tutti quanti dispongono di pesanti limitazioni al consumo complessivo, ci sono ormai limitazioni che non vanno oltre il kilowatt per ogni abitazione, e mentre il caldo dell'inverno e il gelo e i temporali dell'estate ormai sferzano il clima in maniera così disordinata, nessuno può permettersi praticamente una soluzione per riscaldare l'ambiente, o per rinfrescarlo nella calura. L'aria condizionata è diventata un bene di lusso che solo i più ricchi possono permettersi, così come l'acqua, che anch'essa arriva gratis ai tubi di tutte le case, ma razionata, per solo un ora alla mattina e due ore alla sera. Forte, pulita e puzzolente di grandi quantità di cloro. Ci sono dei premi per chi risparmia sulla sua dose giornaliera d'acqua, così come su quella di corrente elettrica, ma ormai siamo tutti quanti lì a tirare la cinghia perché convertiamo questi ristretti premi in crediti per l'acquisto di beni di prima necessità. Ci sono famiglie che riciclano l'acqua di cottura per lavare e lavarsi, pur di potersi permettere certi sacrifici. La cultura, per fortuna, non manca. Da quando la scuola è divenuta un obbligo per tutti fino ai ventiquattro anni d'età, e tutti quanti riescono in un complicato ma efficace percorso di studi almeno a costruirsi una cultura, in questo mondo le cose vanno meglio. O forse, ce lo vogliono far credere.
Svolto verso sinistra, sono vicino alla mia destinazione.
Campobasso ha due quartieri periferici, uno ad est e uno, opposto, ad ovest, completamente moderni e composti da questi giganti casermoni di cemento armato e vetri oscurati. Che sorgono sulle rovine di altri edifici, crollati con il tempo, il bisogno di costruire casermoni ancora più grandi o, senmplicemente, perché crollati. Perché nel gioco del ribasso, del subappalto e del bisogno di creare elementi per il lavoro del popolo, ci sono pochi muratori sottopagati e che muoiono praticamente ogni giorno in un cantiere per tirare su di corsa un edificio con cemento depotenziato all'estremo: ci saranno grandi uffici per grandi uomini in giacca e cravatta che prometteranno grandi guadagni a tanti giovani in maglietta sdrucita che vivono in un altro casermone, di sparuti e miserrimi alloggi popolari da cinquanta metri quadri con tre camere e due bagni per sette persone. Dove non esiste più la dignità di persona, dove non esiste un minimo di privacy, dove ritorni ogni sera sperando di aver recuperato qualcosa, da questa giornata, finché non ti accorgi che il guadagno della giornata non è sufficiente, forse, neppure a sfamare metà del tuo nucleo familiare. Ma che problema c'è? Tanto le famiglie allargate non esistono più: sempre di meno si sposano, sempre di meno fanno figli (per quanto ti propongano una serie di sgravi fiscali e di soluzioni per sostenere i tuoi figli, finisce che rinunci, perché non sei comunque sicuro di avere di che sostenere te stesso, o tua moglie, o i tuoi genitori, che eppure sacrificano così tanto perché tu possa trovare qualcosa di diverso), sempre di più muoiono e la popolazione si riduce.
Il divario fra ricchi e poveri è una profonda linea di demarcazione, una striscia che appare sempre più difficile da superare.
Giungo davanti al portone di quel casermone di cemento, tutto finestre quadrate in linea, neanche un balcone sulla facciata, ma un'ampia terrazza sul tetto, subito sopra il quarto piano. Lì prendiamo il sole la mattina durante la pausa caffè, lì festeggiamo ogni tanto il compleanno di qualcuno di noi, o qualche altro lieto evento. Lì, prima di tornare nel nostro mondo.
Ed eccolo, il mio: il tanto familiare cubicolo grigio, la sedia, lo schermo tattile del terminale che lampeggia. Mi metto l'auricolare e digito il mio pin sui finti tasti numerici sullo schermo.
In auricolare giunge un <click> che mi da un po' fastidio, e a cui ancora non mi sono abituato. Mentre sto per cominciare dagli altoparlanti ben integrati sui muri giunge una voce meccanica: "Questa è la giornata di Isernia. Buon lavoro a tutta la squadra".
E si va in scena.
<click...> "Pronto?"
"Signora buongiorno, sono Marco di Quattropiù, forse la sua nuova compagnia telefonica..."