Il sentiero che percorro è dannatamente lungo. Così lungo che ormai non riesco più a vedere la strada da cui è partito. Si dipana lungo una vegetazione non molto fitta e un po' di sterpaglie verdi, anche se la temperatura mi lascia presagire una calura non indifferente in arrivo di lì ad un'oretta al massimo.
Ma poi, finalmente, il percorso gira sulla sinistra e un grosso cespuglio di oleandro bianco sembra essere la giusta conclusione a questa strada. Da questo punto comincia la sabbia. Sabbia fine, rosata, pulita e poco movimentata dal vento. Una spiaggia, ma vedo il mare molto in lontananza: ci sono diverse centinaia di metri di sabbia.
La visione in sé è molto rilassante, ma quello che io sento è che devo fare presto, che devo arrivare alla mia destinazione prima che si alzi il sole. Sono vestito con dei jeans, una camicia e le scarpe antinfortunistiche, che mi permettono di camminare velocemente persino sulla sabbia, ma non le sento molto comode.
Mentre comincio ad affrontare la sabbia, tagliando diagonalmente la spiaggia verso sinistra, ma dirigendomi comunque verso il mare, il sole si sta alzando e comincia a farsi sentire addosso, anche se per il momento non sto sudando. È in questo momento che comincio a riflettere sui fatti della serata. A riflettere su come tutto è cominciato: le immagini di una piazza semideserta mi si parano davanti agli occhi.
La piazza è piccola, con una specie di fontana spenta al centro e qualche negozio circostante. Sono seduto al tavolino di un bar su un lato e, dal lato esattamente opposto, c'è un grosso appezzamento di terra incolto e abbandonato, pieno di sterpaglie. Siamo in notte inoltrata (sarà almeno mezzanotte: a parte il bar sono circondato da botteghe chiuse.
Con me ci sono quattro persone: un amico che non vedo da un sacco di tempo, una donna che non conosco e che l'amico mi ha detto essere sua moglie, e due ragazzine che (lo suppongo, ma non me l'ha detto) dovrebbero essere le loro due figlie.
Stiamo discutendo (anche un po' animatamente, devo dire) a proposito del genio della lampada di Aladino. Soprattutto di come vi siano varie interpretazioni della favola tratta da "Mille e una notte" in proposito della presunta regola dei "tre desideri", che non appare nel racconto originale.
Seguo la discussione con poco interesse e molta noia. Poi mi accendo una sigaretta e guardo in direzione del cielo. È a quel punto che lo vedo: è un piccolo punticino azzurro, al centro del cielo, che si muove scendendo verso il basso.
Ma si espande, fino a diventare come un gigantesco fuoco d'artificio che cade verso il basso. E cominciano a notarlo tutte le persone che sono in piazza, e cominciano a zittirsi tutti.
Si avvicina, come se volesse colpire proprio quello squarcio di sterpaglie davanti a noi, e infatti qualcuno comincia a indietreggiare mentre questa sfera azzurra comincia a lasciarsi dietro un'inquietante scia di scintille azzurrognole.
E a questo punto l'amico e la moglie si alzano di scatto. Si comincia a sentire un sibilo sinistro: le due ragazzine appaiono congelate dalla paura e io comincio ad assistere a questa scena come se fossi uno spettatore che la vede in televisione: sento le urla di terrore di tutti quanti, vedo la gente che comincia ad alzarsi e scappare in direzione della strada alla nostra destra. Anche l'amico, e la moglie, e le figlie cominciano a correre.
Mi alzo, con molta calma. Ormai l'oggetto (un diametro di alcune decine di centimetri) è a poche centinaia di metri di altezza. Mi dirigo verso la strada a passo lento, faccio qualche decina di metri e poi mi giro, in tempo per vedere che si abbatte al centro di quel terreno incolto. Un lampo bianco-azzurro molto luminoso mi fa chiudere gli occhi per qualche istante, mentre uno schianto non molto rumoroso si spande tutto intorno. Quando riapro gli occhi la luce è cambiata: adesso ci sono i riflessi gialli e arancio di un mastodontico incendio, e dopo qualche istanto cominciano a risuonare scoppi cupi molto forti: in mezzo alle sterpaglie sta bruciando un bel cespo di canne, sicuramente.
A questo punto mi fermo, e rimango per qualche istante rapito dall'immagine di quell'incendio che cresce. Il fuoco che crepita sempre più forte, le fiamme sempre più alte, tutte immagini che mi lasciano a bocca aperta. Ma poi viene un leggerissimo vento contrario, e con esso il fumo. Per cui mi giro e continuo lungo la strada cui si sono diretti tutti.
E la passeggiata continua, ancora per poco, poi prendo l'auto e mi sposto.
Ritorno quindi sulla spiaggia. Mi sto avvicinando ormai alla linea del mare, e vedo una ampia battigia quasi pianeggiante. Le pochissime onde si infrangono sulla linea della spiaggia spostandosi pigramente in avanti, ma io finalmente vedo anche il punto che sto cercando. È proprio vicino alla battigia, a non più di una ventina di metri da dove mi trovo. Allungo il passo e ormai il sole è quasi del tutto alzato e il colore dell'alba quasi non si vede più.
Davanti a me, semisepolta nella sabbia, c'è una vecchia lampada ad olio: la lampada di Aladino, a quanto pare. Anche perché so che è quella, e perché la prendo e tolgo qualche granello di sabbia dal bordo. Poi col palmo della mano le do una strisciata, e un'altra, e un'altra ancora.
Niente fumo, niente effetti speciali. No, niente di tutto questo. Solo una voce: "Io sono qui per te, padrone: comandami e sarai immediatamente servito".
La voce è alle mie spalle, ma io non mi giro neppure per controllare chi sia, mi limito a rispondere: "Per quanto tempo ti potrò comandare?"
La voce è argentina, dolce. Sembra la voce di un nonnino premuroso: "Fino a quando possiederai la lampada, potrai evocarmi e chiedermi di soddisfare qualsiasi tua esigenza. Hai un solo limite: non potrai chiedermi di farti del male, né di ucciderti. Ma se vorrai potrò assassinare qualcuno per te, mio padrone"
Un brivido mi corre lungo la schiena: "No, nessun omicidio, grazie. Limitiamoci a restare con i piedi per terra, ti prego."
A questo punto la voce si fa un po' più maliziosa: "E allora cosa preferisci? Forse il denaro? Il potere?"
Faccio un respiro profondo, poi comincio a ravanare fra le tasche dei pantaloni e della camicia. Ho l'impressione di indossare una camicia hawaiana, ma ad ogni modo quello che cercavo salta fuori dalla tasca sinistra dei pantaloni: sigarette ed accendino.
Con moltissima calma e misurata attenzione mi accendo una MS Club, poi inspiro profondamente e dopo qualche istante sbuffo nervosamente del fumo: "Direi che potremmo evitare quello che è successo stanotte in piazza."
"Mio signore, questo è impossibile"
"Mi hai detto che l'unico limite è che non puoi farmi del male, il mio desiderio è di evitare quel meteorite di stanotte"
"Ma io sono arrivato questa notte, proprio con quel meteorite."
"Cosa? Il meteorite è caduto a miglia e miglia [sì, ho usato questa unità di misura, ndG] da qui, e adesso l'incendio sarà ancora in corso. Tu sei su questa spiaggia, e sapevo da tempo che eri qui."
Il personaggio si gira, e mi si piazza davanti. Mi aspettavo un mostro gigante in una nuvola di fumo, e invece è un tizio alquanto anonimo in camicia bianca, giacca nera gessata e cravatta nera. Capelli radi, biondissimi, e occhi di un blu non dissimile dal mare che sto guardando.
Mi abbasso, spengo la sigaretta nella sabbia, poi metto il mozzicone fra i lacci delle scarpe. Mi alzo di nuovo e lo guardo, per qualche istante, prima di sbottare con una domanda a bruciapelo: "Quando dovrai andartene via?"
"Non potrò allontanarmi da te sino a quando avrai la mia lampada, ma potrò andarmene via qualora tu lo desiderassi. È questo che vuoi?"
"E posso liberarti? Farti diventare un normale essere umano?"
"Non credo che funzionerebbe. O almeno: probabilmente mi polverizzerei all'istante. Ho più di ventimila anni. Conosci uomini della mia età?"
Il sole è ormai alto, il caldo comincia a farsi sentire.
"Va bene. Non voglio averti chiamato per nulla. Non voglio il potere, né il denaro. Mi basta essere felice. Io non sono felice, o almeno non in questo momento. Puoi rendermi felice?"
Il genio alza il braccio destro: "Naturalmente, padrone".
Schiocca le dita. Mi sento qualcosa fra le braccia. Abbasso lo sguardo, e mi trovo Lucky fra le braccia. Il genio sembra perplesso: "Ah! Tutto qui? Bastava questo per renderti felice, padrone?"
"Sono uno che si accontenta di poco. Grazie, per ora puoi andare".
Abbraccio il cucciolo e guardo il mare, mentre il sole all'improvviso sembra essere partito per il tramonto, anche se non sono passati chiaramente che pochi minuti.
Chiudo gli occhi, e penso: "Ok, è ora di svegliarsi, adesso".
Quando riapro gli occhi la proiezione dell'ora segna le cinque meno cinque di mattina. Accendo la luce, alzo il braccio sinistro e guardo Lucky.
"Adesso tutta la mia felicità è stare in riva al mare abbracciando un orsetto di peluche? Certo che sei particolare, Lucky. Lo sai?"
Però devo dire che mentre ero in quella posizione, mi sentivo felice. Anche questo significa avere un orsetto di compagnia, forse. (-:
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