Sono seduto. Sembra una sedia piuttosto ordinaria, di quelle che troveresti in una qualsiasi cucina di fascia media o medio-bassa.
Ma sono seduto sul marciapiede. Siamo sul ciglio della strada. Un po' come quello che avviene nelle serate dei paesi siculi, in cui si cerca un minimo di refrigerio anche in questo modo, ma un po', anche perché dall'illuminazione sembra piuttosto pomeriggio inoltrato (ma non quasi al tramonto).
C'è qualcuno sulla mia destra. Quasi accanto a me, una figura irreale della quale percepisco l'ombra. Non sto guardando questa persona: guardo per strada le sparute auto che passano dalla strada, o uno sparuto gruppetto di ragazzini (12-14 anni) che su questa strada così poco trafficata stanno giocando.
Li osservo perché qualcosa di strano sta avvenendo: non riesco ad identificare il loro gioco (sembrerebbe che stiano tirando quattro calci a un pallone, ma sono lì che urlano e si inseguono senza che ci sia nessun pallone fra di loro).
Chi mi sta accanto (lo "SConosciuto") mi rivolge la parola, e cominciamo questa lunga dissertazione.
SC: "Cosa c'è che ti lascia così perplesso?"
Io: "Loro, ovviamente"
SC: "Non hai mai visto dei ragazzini che giocano? Ma scusa, non sei tu quello che dice sempre di essere un gran giocherellone?"
Io: "Sì, ma se dovessi gestire una cosa del genere, sarebbe probabilmente una scenetta di meno di un minuto per far impazzire qualche amico: 'ehi, che c'è: non vuoi dare anche tu due calci al pallone?', 'Ma quale cazzo di pallone? Ma siete scemi voi o sono orbo io?'"
SC: "Adesso che c'entra il pallone? Non vedi che cosa fanno?"
Mi giro verso il mio lato destro, ma non appena comincio a farlo ne ottengo una sensazione molto sgradevole, e subito provo una paura incontenibile di ciò che ci può essere sulla mia destra. Abbasso lo sguardo e cerco di ritornare a guardare avanti a me, ma ormai ho intravisto un paio di gambe e piedi vicino a me, sulla destra. Anzi no, non sono delle gambe o dei piedi, ma piuttosto delle gigantesche zampe. Brutte, nere, pelose, sporche, storte, inquietanti. Qualcosa di mostruoso è accanto a me: adesso ne ho il sentore, ma non ho il coraggio di guardarlo e ora, che ne ho visto solo un breve tratto, non so se ho il coraggio di scappare. Sento il cuore che comincia a battere più forte. Cerco di concentrarmi sui ragazzini che giocano. L'immagine appare sfocata per qualche istante (ma l'impressione che ho è che sia stata la scarica di adrenalina per la vista di quella mostruosità ad annebbiarmi per qualche istante la vista), ed in quel frangente mi rendo conto che non riesco a delineare bene la figura di ciascuno di quei bambini. L'impressione è che ogni volta che provo a guardarne uno in faccia, la mia vista venga deviata da qualcosa di più importante, non riuscendo a focalizzarsi su un punto comune. Gli stessi vestiti: quando cerco di guardarne un singolo ragazzino, appare vestito con una felpa verde, jeans, sneakers bianche e nere. Gli altri mi danno l'impressione di abiti diversi (anzi, ho anche l'impressione che siano maschi e femmine), ma quando provo a soffermare la mia concentrazione su qualcun altro dei ragazzini, gli abiti che vedo sono sempre la medesima felpa, i medesimi jeans e le medesime sneakers.
Cerco di rilassarmi, e di lasciare che il cuore mi ritorni a un regime di battito normale. Tutto questo credo che sia durato pochi secondi, perché chi mi è accanto ricomincia a parlare subito, mentre io stendo le braccia in alto, poi mi porto le mani al collo e mi gratto la nuca.
SC: "Tu sei troppo nervoso. Rilassati. Pensi che succederà qualcosa di brutto?"
Io: "Non posso saperlo, ma ovviamente ritengo che no, non succederà niente di particolare. Perché me lo chiedi? C'è forse qualcosa che fa paura a te?"
Ho sentito un tono di voce strano in quest'ultima domanda del tizio, ed ho cercato di approfondire. Soprattutto perché grattandomi la nuca ho sentito la catenina al collo, ma poi nel tirare giù le mani ho intrecciato le dita e mi sono stiracchiato le braccia, accorgendomi sin da subito di una cosa.
SC: "A me? Nulla. E a te? Quali sono le tue paure intrinseche?"
Io: "Perché dovrei dirle a te?" Stendo il collo verso l'alto. Intravedo a malapena il tetto dell'edificio che c'è alle mie spalle (deve essere praticamente alto solo quanto il primo piano e finisce subito) e sopra di noi il cielo appare molto nuvoloso e con degli strani riflessi giallo-rossicci molto lontani.
Io: "Non mi hai risposto. Perché dovrei dirti quali sono le mie paure intrinseche? Perché vuoi sentire che io magari ho paura di morire, oppure di essere un pessimo genitore, o più semplicemente..." riporto gli occhi al cielo "... che magari ho paura del buio?". Il cielo sembra essersi portato su un maggior numero di riflessi giallo-rossicci, come se si avvicinasse il tramonto. Faccio un respiro profondo, cerco di rilassare il mio corpo e la mia mente, stendo il mio braccio destro sul torace, e succede. I ragazzini che giocano fanno molto rumore, e anche quando si fanno un po' di lato e passa una macchina c'è molto rumore, ma io lo stesso in lontananza sento, come un suono di sottofondo, quello che c'è veramente, e sotto la mano destra non c'è nessuna sensazione finché non faccio un altro respiro profondo e mi alzo di colpo dalla sedia. Ora qualcosa c'è. (-:
SC: "Che minchia stai facendo?"
Io: "O magari pensi forse che io possa avere paura di te, non è vero?"
Mi giro di scatto, e guardo fisso sulla mia destra. La sensazione di paura, di disagio, di cuore in gola ritorna fino in fondo, ma io guardo lo stesso. C'è una persona, un uomo che appare quasi normalissimo. Indossa un paio di pantaloni a frange nere e capisco che l'immagine delle brutte zampacce pelose era stata solo un'impressione. Il tizio mi guarda con stizza, dall'alto in basso.
SC: "Qual è la cosa che più ti mette a disagio? Non vuoi dirmelo?"
Io: "Perché tu ci faccia qualcosa per rendermi più nervoso, più preoccupato, magari più impaurito? Scoprila."
In questa fase il vociare dei ragazzini si è interrotto. Faccio di nuovo un respiro profondo, ma sbuffo via l'aria dalle narici con un'espressione minacciosa. Poi mi giro di nuovo verso la strada. Verso i ragazzini che giocavano.
Tutto avviene in un attimo: sto ancora ruotando la testa e il busto in direzione di quel punto della strada, quando lo vedo.
Uno dei ragazzini ha in mano un grosso revolver. Lo punta in alto e spara un colpo. Un rumore secco molto forte scuote l'aria: tutti gli altri ragazzini sobbalzano, poi fanno in coro un urlo di giubilo. Osservo la scena surgelato: molti altri ragazzi stanno tirando fuori delle pistole, e nel giro di pochi istanti cominciano anche loro a sparare in aria.
Io: "Beh, sì. Trovarmi di fronte a delle armi da fuoco mi fa sentire un po' a disagio, ma non credo che dei ragazzini che sparano a salve dovrebbero inquietarmi..."
Quasi come a risposta, il ragazzino che ha sparato il primo colpo di pistola abbassa il revolver e spara un altro colpo in direzione di una ragazzina che ha alla sua sinistra. La ragazzina, colpita in pieno volto, si accascia a terra in una pozza di sangue. Tutti gli altri ragazzi stanno continuando a sparare con diverse armi. Il rumore sembra quello di un inquietante uscita di santo, anzi, comincia a crescere di intensità. Una ragazzina punta nella nostra direzione una Desert Eagle cromata, la sua pistolettata risuona così violenta da farmi sobbalzare, e inoltre ho sentito chiaramente il proiettile sibilarmi a pochi centimetri dall'orecchio sinistro. Mi giro di nuovo in direzione dello sconosciuto.
Io: "E questo cosa significa?"
I colpi di pistola che risuonano nella strada diventano insopportabili. Ogni volta che una pistola tira un colpo, risuona come una cannonata: i timpani mi saltano ad ogni colpo, sento le orecchie che mi fischiano fastidiosamente. Cerco di tapparmi le orecchie, ma non riesco a muovere le braccia. Adesso la strada risuona di colpi sempre più forti e vicini. Appare come un lungo tuono. Guardo ancora lo sconosciuto.
Io: "Smettetela, altrimenti dovrò fare qualcosa che non ti piacerà."
I colpi si interrompono per qualche secondo, mentre lo sconosciuto mi dice solo una frase:
SC: "E che cosa vorresti fare?"
Ricomincia la sparatoria. Ogni colpo è sempre più forte. Le orecchie mi fanno male, e sento un fischio costante e molto fastidioso. Quasi mi gira la testa, ma punto un piede in avanti.
Io: "E se tutte le armi improvvisamente si inceppassero?"
Sto guardando lo sconosciuto con un'espressione di puro odio, e dopo una frazione di secondo improvvisamente il rumore delle pistolettate diventa un debole ticchettio di armi scariche. Poi sento le voci di alcuni dei ragazzini, e mi giro verso di loro.
Quattro di loro giacciono a terra, c'è molto sangue. Tutti i ragazzi in piedi (alcuni sanguinano dalle braccia) stanno guardando le loro pistole come se fossero delle sculture di arte moderna.
Io: "Oppure quelle armi potrebbero diventare qualcosa di più interessante!"
Stendo il braccio sinistro in avanti, indicando il gruppetto di ragazzini che adesso comincia a scappare verso sinistra, raggiungendo il fondo della strada. I ragazzi a terra e il sangue sono spariti. Anche le pistole sono sparite, e al loro posto adesso ci sono dei serpenti che inseguono il gruppetto.
SC: "Ma come hai...?"
Io: "Fatto? Semplice. Già da un pezzo sapevo che questo era solo un sogno. E come tale, so che mi basta poco per riprenderne il controllo. Perché voi spiriti degli incubi continuate a fare sempre gli stessi errori."
SC: "Ma tu non eri..."
Io: "So che dovrei crescere, ma per ora mi rilassa molto dormire con un bell'acchiappasogni. Anche se talvolta mi scappa via. Perché voi incubi ne avete una fifa fottuta, e pur di non rischiare l'aggressione fate ogni genere di cazzata. Questa però è stata proprio stupida, lasciatelo dire."
Stendo il mio braccio destro davanti a lui, lo giro e oscillo le dita.
Io: "E poi che spacchio sei? Non lo vedi? Niente orologio, e niente anello del nonno. Ma che cosa ti sei messo in mente quando sei venuto a trovarmi nel mio subconscio? Non me li tolgo mai: in questo momento sto dormendo indossandoli entrambi! E dire che quando ho sentito la catenina al collo ancora ancora stavo per convincermi che questo non fosse un sogno."
Lo sconosciuto sembra assumere un'espressione contrita, nervosa.
SC: "Non finisce qui, anche io ho il controllo..."
Io: "Sì, il controllo di questi ciufoli in carriola!"
Punto di colpo le mani in avanti, lo spostamento d'aria che ho generato con questo gesto è così amplificato che fa cadere a terra lo sconosciuto, ma sbilancia anche me, che faccio due passi e mi sento cadere in avanti.
E così che mi sveglio. Mi ritrovo sul lettone della camera di Cadine. Sono in una posizione molto scoordinata: prono, impastato fra le coperte, con le gambe storte e il braccio destro steso verso il lato opposto del letto. Apro gli occhi, ma l'oscurità è ovviamente totale. Il rumore della pioggia battente mi colpisce le orecchie dopo qualche istante, mentre i sensi si riprendono. E dopo qualche altro istante un tuono basso, lungo e profondo scuote la notte. Nonostante l'oscurità mi rendo conto che la mano destra è andata a riprendere la zampina di Rafael: durante la notte sono riuscito ad allontanarlo (ma non a buttarlo giù dal letto: semplicemente lo ho spinto sull'altra "piazza" del lettone) ma quando sognavo e cercavo di trovare un punto d'appoggio, dovevo essere in uno stato di dormiveglia sufficiente per stendere il braccio e ravanare cercandolo.
Stendo a sinistra la mano e trovo il comodino, con l'interruttore della abat-jour. Poi guardo sulla mia destra il "piccolo" (ehm, si fa per dire) orsetto cui tengo ancora la zampa destra con la mano. Mi rialzo, sistemo un po' meglio le coperte, mi riavvicino il pupazzo, e poi spengo la luce di nuovo, mentre un altro tuono risuona molto più forte e vicino a casa. Poi ci penso, e do un buffetto sul muso dell'orsacchiotto, commentando: "non ti preoccupare. Anche se ti ho allontanato e ho quindi fatto avvicinare quello spirito maligno, sono riuscito a tenere la situazione sotto controllo lo stesso. E se ci sono riuscito è stato anche perché tu comunque mi stavi vicino. Buona notte, Rafael: vedrai che adesso saranno solo sogni d'oro".
La funzione di acchiappasogni dell'orsacchiotto di peluche è un po' più sottile di quella del classico giocattolino indiano, tanto che mi sono sempre chiesto che cosa succederebbe a tenere un bell'acchiappasogni in prossimità della finestra e con piantato davanti un bell'orsacchiotto di peluche di quelli con spiccate capacità anti-incubo (tipo il mio preferito per questa attività, il coraggiosissimo Lucky): sono sicuro che gli spiriti maligni invischiati nelle trame di quel cantro si troverebbero anche terrorizzati dalla presenza del pupazzo per tutta la notte, fino all'alba. Ma vedete, non so se riuscirei a fare una cosa del genere: mi diverto con gli incubi, quando vanno a finire così, e forse un giorno crescerò e la smetterò di credere che un piccolo pupazzo di peluche possa avere funzioni così elevate. Anche perché lo so che non è così: è solo un palese effetto placebo. Ma so anche che ogni sera quando sto per addormentarmi, avere la possibilità di strizzare, smauzzolare, coccolare e consumare un peluche mi aiuta tantissimo a scaricare la tensione nervosa accumulata durante il giorno, e mi fa sentire bene con me stesso (d'altronde, come contrasto, io adoro coccolare ogni animale, e i cani di moltissimi miei amici ne sanno qualcosa, dato che generalmente sono io che faccio le feste al cane di casa, prima che sia lui a farle a me).
Anche se crescerò, comunque, questi piccoli aneddoti resteranno comunque nel mio cuore, a ricordarmi un momento un po' particolare della mia vita. (-:
Il luogo (e lo spazio) dei più pesanti, discutibili e profondi deliri di Grizzly: alcuni di essi potrebbero urtare la sensibilità di chi legge, pertanto le Pagine Oscure sono in secondo piano.
Comunque, come sul Diario di Viaggio sarete ospiti ben graditi.
Pagine importanti
lunedì 27 settembre 2010
lunedì 23 agosto 2010
Ecco le cose che mi fanno passare la voglia
La voglia di prendere la patente radioamatoriale, intendo.
Sono un radioascoltatore con licenza SWL da un paio d'anni. Un paio d'anni che spazzolo le frequenze radioamatoriali, e da sempre rappresenta un'ambiente interessante quello dei ponti radio ministeriali.
I ponti radio ministeriali dovrebbero essere utilizzati solo per verifiche di transito (e tanto poi sono sicuro che se sto facendo servizio antincendio e non prende il cellulare, se mi azzardo a transitare sull'RU2 per parlare col campo base, viene qualcuno a rompermi i marroni nonostante lo scopo dei ponti ministeriali sia proprio quello di creare un'infrastruttura di comunicazioni utile in caso di emergenza), ma sempre più spesso coloro i quali si ergono a signori e padroni dell'etere li utilizzano per le loro chiaccherate degne dei tempi delle ruote sulla CB degli anni d'oro.
E se non è così, spiegatemi perché stamattina mentre scendevo a Trento per fare colazione mi sono fatto una cultura sui piloti d'aereo della seconda guerra mondiale e di quelli che poi hanno continuato facendo i piloti civili per aerei da turismo fino alla metà degli anni '60.
Ma veramente mi passa la voglia di patentarmi, anche se so che con una patente in tasca potrei avere anche un VHF in mano ed esprimere tutto il mio amore per questi sani sperimentatori che hanno fatto del radiantismo una cultura profonda e ricca.
Continuiamo ad ascoltare, va, vediamo che cosa propone il mercato...
Sono un radioascoltatore con licenza SWL da un paio d'anni. Un paio d'anni che spazzolo le frequenze radioamatoriali, e da sempre rappresenta un'ambiente interessante quello dei ponti radio ministeriali.
I ponti radio ministeriali dovrebbero essere utilizzati solo per verifiche di transito (e tanto poi sono sicuro che se sto facendo servizio antincendio e non prende il cellulare, se mi azzardo a transitare sull'RU2 per parlare col campo base, viene qualcuno a rompermi i marroni nonostante lo scopo dei ponti ministeriali sia proprio quello di creare un'infrastruttura di comunicazioni utile in caso di emergenza), ma sempre più spesso coloro i quali si ergono a signori e padroni dell'etere li utilizzano per le loro chiaccherate degne dei tempi delle ruote sulla CB degli anni d'oro.
E se non è così, spiegatemi perché stamattina mentre scendevo a Trento per fare colazione mi sono fatto una cultura sui piloti d'aereo della seconda guerra mondiale e di quelli che poi hanno continuato facendo i piloti civili per aerei da turismo fino alla metà degli anni '60.
Ma veramente mi passa la voglia di patentarmi, anche se so che con una patente in tasca potrei avere anche un VHF in mano ed esprimere tutto il mio amore per questi sani sperimentatori che hanno fatto del radiantismo una cultura profonda e ricca.
Continuiamo ad ascoltare, va, vediamo che cosa propone il mercato...
sabato 12 giugno 2010
Fuoco, purificaci tutti
-Non riuscirai a comprenderlo in tempo. Ma non ti preoccupare, non ti servirà a molto comprenderlo. Non è per te che è stato scritto, o pensato, o semplicemente concepito.
-Forse. Ma comunque è stato concepito. E se qualcuno è stato in grado di pensarlo, qualcun altro potrà anche svelarne i segreti. Non vedo perché non potrei essere io, quel qualcuno.
Lo guardai di sottecchi, con l'attenzione rivolta allo schermo del terminale portatile anche per non soffermarmi sulla terribile visione d'insieme. Era sporco, indossava abiti lerci e consumati, aveva due scarpe differenti, la barba incolta di almeno tre settimane. Solo a guardarlo faceva tanto di quel ribrezzo da farti venire voglia di allontanarti di almeno cento metri, e persino l'odore che emetteva ti faceva valutare seriamente quella ipotesi.
Ma lo ammiravo. Lo ammiravano tutti. Era un mito. Seduto su una pietra infangata con le gambe incrociate, sulla vetta della collina, le mani consumate dal lavoro sulla terra, un sigaretto consunto e fetente che teneva fra le dita tremolanti della mano sinistra, e gli occhi.
I suoi occhi blu, profondi.
Come il più misterioso degli oceani. Come l'immagine rilassante del cielo nello sfondo dei sistemi multilivello basati su quella nuova versione del sistema operativo.
I suoi occhi ti lasciavano senza fiato.
Aveva l'espressione rilassata, l'aspetto di un vecchio agricoltore sul suo terreno che si gode una meritata pausa dopo una giornata trascorsa sui campi. Ma i suoi occhi.
Avevi paura dei suoi occhi.
Pensavi che ti avrebbe potuto uccidere con i suoi occhi. Ucciderti. Con la sola profondità del suo sguardo, anche a miglia e miglia di distanza.
Riportai lo sguardo che fugacemente si era soffermato su di lui, sul terminale.
Gli eventi degli ultimi sei giorni avevano cambiato completamente la mia vita. Mentre osservavo quei simboli, il mio raziocinio sapeva che avrei dovuto occuparmi di decifrare quel codice, ma la mia mente divagò quasi subito, tornando al primo giorno. Tornando a come era cominciato tutto quanto. E come non tornare indietro? Era passata meno di una settimana, da quando era cominciato tutto quanto.
Il mio nome, non ha importanza. Quello della larva umana che mi stava davanti con quegli occhi blu fumando un minibido, neppure. Numeri. Ecco quello che siamo. Solo numeri.
Io sono stato un numero uno, nel mio campo. Nel mio piccolo.
Ho una famiglia.
Una moglie amorevole.
Una magnifica bambina di sette anni.
Una casa: una bella villa in periferia, dotata di ogni comfort.
Auto sportive.
Moto, computer, dipendenti.
Un intero impero nelle mie mani.
Che schifo!
Ora che guardo l'uomo che è stato (ed è) la guida spirituale per tantissimi, provo schifo e vergogna per me stesso.
Sono arrivato a questo punto con anni di duro lavoro e sudore della mia fronte, senza dover mai dare conto a nessuno di quello che facevo. Come lui. Sono riuscito a superare molte sfide, molte analisi, grazie al raziocinio. Grazie alle conoscenze in ambito tecnico ma, soprattutto, grazie alla mia mente fredda e matematica. Anni di tecnologie sempre più evolute hanno insegnato a tutti come appiattire la vita e renderla un lento e noioso fluire dalla mattina alla sera nel solito tran-tran quotidiano.
Un lento e noioso fluire dei giorni, delle settimane, dei mesi, degli anni. Novità? No, le solite cose, sai.
E invece no! Porcaccia miseriaccia: per una volta no!
Non dopo aver visto come chiudere con tutto e con tutti, non quando è finalmente possibile scandire la propria vita senza temi, senza titoli, senza 140caratteri, senza la tastiera del computer, senza smartphone, senza terminale, senza terminazione, senza corrente elettrica, perché no?
Il raziocinio. Ritrovare il raziocinio, scoprire che la mente umana è un'arma meravigliosa e terribile, anzi riscoprirlo. Scoprire che forse la radice quadrata di 78432 non è "batteria della calcolatrice scarica". Anzi no, scoprire proprio che non serve una macchina per tenere in esercizio la mente.
Isolamento.
Questo ci vuole, per capire, per pensare, per ragionare. No, isolamento per sentire i propri pensieri, per sentire in mezzo alle onde wi-fi, bluetooth e hyperlan che c'è ancora del raziocinio. Che l'uomo può ancora pensare.
Che esiste ancora la fantasia.
Sei giorni fa ho lasciato tutto. Ho lasciato tutti. Ho lasciato tutti e tutto, e sono entrato nel "monastero".
Che bel nome. Antico. Altisonante. D'altronde, mi hanno detto che l'edificio molti, tanti, troppi anni fa ospitava proprio un monastero. E ora quello che serve è solo silenzio, una cella fredda, un letto duro, e niente tecnologia. Niente corrente, niente telefoni, niente terminali, niente di niente.
-Le notti a lume di un mozzicone di candela e i giorni scanditi solo dallo scorrere del sole e dal bisogno di respirare a pieni polmoni a stretto contatto con la natura, sono duri. All'inizio per tutti sono duri. Il primo giorno è quello in cui decidi se hai carattere. Se sei carismatico. Molti vengono al monastero, pochissimi superano il primo giorno. Io sono il Priore. Da quando uscirai da questa cella, sarai solo tu, la tua mente e gli altri, se vorrai rapportarti con loro. Qui vige solo una regola: coloro che alzano il cappuccio del saio sulla testa applicano la regola del silenzio. Non potrai parlare con loro: loro non parleranno con te.
Che belle parole. Alzai il cappuccio sulla testa non appena giunsi all'arcata della porta per uscire, e da allora per tutti i sei giorni di permanenza non lo abbassai mai.
Il primo giorno passò. Lento, omologo, poco efficace, e il terrore che mi fece tremare la colonna vertebrale fu quello che in qualche modo nel monastero si cooperasse solo per costruire l'ennesimo cliché di vita preconfezionata e dettata da regole di ripetitività generica. Ma superai il mio primo giorno dimostrando una forza d'animo mai vista in anni di monastero.
Nessuno me lo disse, perché invitando a rispettare la mia scelta del silenzio portavo sempre il cappuccio del saio sdrucito ben alzato sul collo e sui capelli corti e spettinati, che in quei sei giorni giunsero anche a un opportuno livello di lerciume non dissimile a quello del personaggio che ora, alla fine di tutto, mi stava osservando. Anche una settimana di barba cominciava a darmi fastidio, ma era una sensazione lontana, assente.
Gli ero vicino lo stesso. Nonostante il fetore che emanava. Nonostante desse l'impressione di essere un pazzo. Ma gli stavo vicino perché avevo provato quelle sensazioni anche io. E se io avevo assaggiato la profondità di quello stato dopo sei giorni, pur sapendo di non avere la forza di affrontare una vita di privazioni, ascetica come quella della nostra guida spirituale, lo ammiravo. Lo ammiravo proprio perché aveva trovato il coraggio di allontanarsi da tutto. Di allontanarsi così tanto da essere riuscito a capire il passato, il presente e il futuro della tecnologia senza neppure bisogno di esserne a contatto.
Il secondo giorno rimasi a passeggiare nel giardino interno del monastero. Cercavo di mettere in ordine la mia testa. Cercavo di trovare il bandolo della matassa di pensieri e ragionamenti che - finalmente - urlavano dall'interno del mio cervello cercando di uscirne tutti assieme appassionatamente.
E fu dura, ma quando giunsi alla sera e mi ritirai nella mia cella, in attesa di addormentarmi sul duro letto di pietra e fieno, cominciavo già ad assaporare un senso differente del tempo.
-Non cercare di trovare segni di una profondità disarmante. Non immaginare chissà quali allitterazioni metafisiche, né intricate e poco controvertibili formule trigonometriche sviluppate in codice esadecimale o che coinvolgano magari anche l'insieme dei numeri complessi coniugati: la strada è molto meno complessa di quanto possa apparire al primo sguardo. Non è una strada semplice, e non a caso ti dico che sinora in centinaia di anni che si tramanda questo codice, nessuno è mai riuscito nell'intento. Cadiamo nella superstizione, nella leggenda e profezia che vuole dell'esistenza di un uomo dalla mente contorta eppure pura, forse un pazzo. Un uomo che potrà decifrare questo codice senza bisogno di studiarlo. Un codice concepito da una mente superiore...
-No. Non è opera di una mente superiore, è opera di una mente libera, ma inferiore. Vuoi la verità? Quello che non vi tramandate dai secoli è un rasoio di Occam: questo codice è stato concepito da un uomo che non ha mai conosciuto la tecnologia, la tecnica, la matematica. Nulla. Forse da un uomo che non era neppure in grado di leggere né scrivere, o fare di conto.
Il terzo giorno. Oh, il terzo giorno, come mi ricordo il terzo giorno. Come dimenticarsi quel giorno in cui uscii dal monastero solo per passeggiare fino al limitare del bosco? Solo per scoprire che c'è ancora un sole che splende alto nel cielo, solo per scoprire che ci sono ancora uccelli che cinguettano. Per scoprire che la natura esiste, e va avanti secondo un disegno che non si può sintetizzare in una formula matematica. Che non si può sintetizzare in 140 caratteri, che non si può far diventare un concetto.
E il quarto giorno, che semplicemente passò.
E il quinto. No. Il quinto no, il quinto fu il giorno difficile: sapevo che mi rimanevano solo ventiquattrore prima di dover incontrare di nuovo il maestro. Sapevo che avrei dovuto trovare una risposta, e che la risposta non era solo e semplicemente dettata dalla quiete interiore che stavo raggiungendo. Che non era solo dettata dai miei pensieri che finalmente avevano trovato il loro spazio e la loro realtà, senza bisogno di urlare per cercare di venire fuori da una mente offuscata dai tempi e dai ritmi della tecnologia.
Ma quel sesto giorno, all'alba, fu il giorno. Ero uscito di corsa dalla cella, di nascosto. Avevo camminato per delle ore fino ad arrivare dal maestro. Ero sudato, la bocca impastata, la gola riarsa. In piedi, davanti al maestro guardavo il terminale e leggevo il codice.
No. Guardavo il terminale, tenendolo il mano come un oggetto sconosciuto. Solo sei giorni avrebbero potuto cambiare radicalmente la mia vita, il mio rapporto con la tecnologia, forse persino il mio rapporto con l'intero universo.
Ma poi, all'improvviso tutto divenne chiaro. Come se quell'accozzaglia di caratteri casuali fosse diventato all'improvviso uno di quei pensieri-in-140-caratteri da social network tanto di moda. Breve, conciso, forse persino ridicolo.
-Forse. Ma comunque è stato concepito. E se qualcuno è stato in grado di pensarlo, qualcun altro potrà anche svelarne i segreti. Non vedo perché non potrei essere io, quel qualcuno.
Lo guardai di sottecchi, con l'attenzione rivolta allo schermo del terminale portatile anche per non soffermarmi sulla terribile visione d'insieme. Era sporco, indossava abiti lerci e consumati, aveva due scarpe differenti, la barba incolta di almeno tre settimane. Solo a guardarlo faceva tanto di quel ribrezzo da farti venire voglia di allontanarti di almeno cento metri, e persino l'odore che emetteva ti faceva valutare seriamente quella ipotesi.
Ma lo ammiravo. Lo ammiravano tutti. Era un mito. Seduto su una pietra infangata con le gambe incrociate, sulla vetta della collina, le mani consumate dal lavoro sulla terra, un sigaretto consunto e fetente che teneva fra le dita tremolanti della mano sinistra, e gli occhi.
I suoi occhi blu, profondi.
Come il più misterioso degli oceani. Come l'immagine rilassante del cielo nello sfondo dei sistemi multilivello basati su quella nuova versione del sistema operativo.
I suoi occhi ti lasciavano senza fiato.
Aveva l'espressione rilassata, l'aspetto di un vecchio agricoltore sul suo terreno che si gode una meritata pausa dopo una giornata trascorsa sui campi. Ma i suoi occhi.
Avevi paura dei suoi occhi.
Pensavi che ti avrebbe potuto uccidere con i suoi occhi. Ucciderti. Con la sola profondità del suo sguardo, anche a miglia e miglia di distanza.
Riportai lo sguardo che fugacemente si era soffermato su di lui, sul terminale.
Gli eventi degli ultimi sei giorni avevano cambiato completamente la mia vita. Mentre osservavo quei simboli, il mio raziocinio sapeva che avrei dovuto occuparmi di decifrare quel codice, ma la mia mente divagò quasi subito, tornando al primo giorno. Tornando a come era cominciato tutto quanto. E come non tornare indietro? Era passata meno di una settimana, da quando era cominciato tutto quanto.
Il mio nome, non ha importanza. Quello della larva umana che mi stava davanti con quegli occhi blu fumando un minibido, neppure. Numeri. Ecco quello che siamo. Solo numeri.
Io sono stato un numero uno, nel mio campo. Nel mio piccolo.
Ho una famiglia.
Una moglie amorevole.
Una magnifica bambina di sette anni.
Una casa: una bella villa in periferia, dotata di ogni comfort.
Auto sportive.
Moto, computer, dipendenti.
Un intero impero nelle mie mani.
Che schifo!
Ora che guardo l'uomo che è stato (ed è) la guida spirituale per tantissimi, provo schifo e vergogna per me stesso.
Sono arrivato a questo punto con anni di duro lavoro e sudore della mia fronte, senza dover mai dare conto a nessuno di quello che facevo. Come lui. Sono riuscito a superare molte sfide, molte analisi, grazie al raziocinio. Grazie alle conoscenze in ambito tecnico ma, soprattutto, grazie alla mia mente fredda e matematica. Anni di tecnologie sempre più evolute hanno insegnato a tutti come appiattire la vita e renderla un lento e noioso fluire dalla mattina alla sera nel solito tran-tran quotidiano.
Un lento e noioso fluire dei giorni, delle settimane, dei mesi, degli anni. Novità? No, le solite cose, sai.
E invece no! Porcaccia miseriaccia: per una volta no!
Non dopo aver visto come chiudere con tutto e con tutti, non quando è finalmente possibile scandire la propria vita senza temi, senza titoli, senza 140caratteri, senza la tastiera del computer, senza smartphone, senza terminale, senza terminazione, senza corrente elettrica, perché no?
Il raziocinio. Ritrovare il raziocinio, scoprire che la mente umana è un'arma meravigliosa e terribile, anzi riscoprirlo. Scoprire che forse la radice quadrata di 78432 non è "batteria della calcolatrice scarica". Anzi no, scoprire proprio che non serve una macchina per tenere in esercizio la mente.
Isolamento.
Questo ci vuole, per capire, per pensare, per ragionare. No, isolamento per sentire i propri pensieri, per sentire in mezzo alle onde wi-fi, bluetooth e hyperlan che c'è ancora del raziocinio. Che l'uomo può ancora pensare.
Che esiste ancora la fantasia.
Sei giorni fa ho lasciato tutto. Ho lasciato tutti. Ho lasciato tutti e tutto, e sono entrato nel "monastero".
Che bel nome. Antico. Altisonante. D'altronde, mi hanno detto che l'edificio molti, tanti, troppi anni fa ospitava proprio un monastero. E ora quello che serve è solo silenzio, una cella fredda, un letto duro, e niente tecnologia. Niente corrente, niente telefoni, niente terminali, niente di niente.
-Le notti a lume di un mozzicone di candela e i giorni scanditi solo dallo scorrere del sole e dal bisogno di respirare a pieni polmoni a stretto contatto con la natura, sono duri. All'inizio per tutti sono duri. Il primo giorno è quello in cui decidi se hai carattere. Se sei carismatico. Molti vengono al monastero, pochissimi superano il primo giorno. Io sono il Priore. Da quando uscirai da questa cella, sarai solo tu, la tua mente e gli altri, se vorrai rapportarti con loro. Qui vige solo una regola: coloro che alzano il cappuccio del saio sulla testa applicano la regola del silenzio. Non potrai parlare con loro: loro non parleranno con te.
Che belle parole. Alzai il cappuccio sulla testa non appena giunsi all'arcata della porta per uscire, e da allora per tutti i sei giorni di permanenza non lo abbassai mai.
Il primo giorno passò. Lento, omologo, poco efficace, e il terrore che mi fece tremare la colonna vertebrale fu quello che in qualche modo nel monastero si cooperasse solo per costruire l'ennesimo cliché di vita preconfezionata e dettata da regole di ripetitività generica. Ma superai il mio primo giorno dimostrando una forza d'animo mai vista in anni di monastero.
Nessuno me lo disse, perché invitando a rispettare la mia scelta del silenzio portavo sempre il cappuccio del saio sdrucito ben alzato sul collo e sui capelli corti e spettinati, che in quei sei giorni giunsero anche a un opportuno livello di lerciume non dissimile a quello del personaggio che ora, alla fine di tutto, mi stava osservando. Anche una settimana di barba cominciava a darmi fastidio, ma era una sensazione lontana, assente.
Gli ero vicino lo stesso. Nonostante il fetore che emanava. Nonostante desse l'impressione di essere un pazzo. Ma gli stavo vicino perché avevo provato quelle sensazioni anche io. E se io avevo assaggiato la profondità di quello stato dopo sei giorni, pur sapendo di non avere la forza di affrontare una vita di privazioni, ascetica come quella della nostra guida spirituale, lo ammiravo. Lo ammiravo proprio perché aveva trovato il coraggio di allontanarsi da tutto. Di allontanarsi così tanto da essere riuscito a capire il passato, il presente e il futuro della tecnologia senza neppure bisogno di esserne a contatto.
Il secondo giorno rimasi a passeggiare nel giardino interno del monastero. Cercavo di mettere in ordine la mia testa. Cercavo di trovare il bandolo della matassa di pensieri e ragionamenti che - finalmente - urlavano dall'interno del mio cervello cercando di uscirne tutti assieme appassionatamente.
E fu dura, ma quando giunsi alla sera e mi ritirai nella mia cella, in attesa di addormentarmi sul duro letto di pietra e fieno, cominciavo già ad assaporare un senso differente del tempo.
-Non cercare di trovare segni di una profondità disarmante. Non immaginare chissà quali allitterazioni metafisiche, né intricate e poco controvertibili formule trigonometriche sviluppate in codice esadecimale o che coinvolgano magari anche l'insieme dei numeri complessi coniugati: la strada è molto meno complessa di quanto possa apparire al primo sguardo. Non è una strada semplice, e non a caso ti dico che sinora in centinaia di anni che si tramanda questo codice, nessuno è mai riuscito nell'intento. Cadiamo nella superstizione, nella leggenda e profezia che vuole dell'esistenza di un uomo dalla mente contorta eppure pura, forse un pazzo. Un uomo che potrà decifrare questo codice senza bisogno di studiarlo. Un codice concepito da una mente superiore...
-No. Non è opera di una mente superiore, è opera di una mente libera, ma inferiore. Vuoi la verità? Quello che non vi tramandate dai secoli è un rasoio di Occam: questo codice è stato concepito da un uomo che non ha mai conosciuto la tecnologia, la tecnica, la matematica. Nulla. Forse da un uomo che non era neppure in grado di leggere né scrivere, o fare di conto.
Il terzo giorno. Oh, il terzo giorno, come mi ricordo il terzo giorno. Come dimenticarsi quel giorno in cui uscii dal monastero solo per passeggiare fino al limitare del bosco? Solo per scoprire che c'è ancora un sole che splende alto nel cielo, solo per scoprire che ci sono ancora uccelli che cinguettano. Per scoprire che la natura esiste, e va avanti secondo un disegno che non si può sintetizzare in una formula matematica. Che non si può sintetizzare in 140 caratteri, che non si può far diventare un concetto.
E il quarto giorno, che semplicemente passò.
E il quinto. No. Il quinto no, il quinto fu il giorno difficile: sapevo che mi rimanevano solo ventiquattrore prima di dover incontrare di nuovo il maestro. Sapevo che avrei dovuto trovare una risposta, e che la risposta non era solo e semplicemente dettata dalla quiete interiore che stavo raggiungendo. Che non era solo dettata dai miei pensieri che finalmente avevano trovato il loro spazio e la loro realtà, senza bisogno di urlare per cercare di venire fuori da una mente offuscata dai tempi e dai ritmi della tecnologia.
Ma quel sesto giorno, all'alba, fu il giorno. Ero uscito di corsa dalla cella, di nascosto. Avevo camminato per delle ore fino ad arrivare dal maestro. Ero sudato, la bocca impastata, la gola riarsa. In piedi, davanti al maestro guardavo il terminale e leggevo il codice.
No. Guardavo il terminale, tenendolo il mano come un oggetto sconosciuto. Solo sei giorni avrebbero potuto cambiare radicalmente la mia vita, il mio rapporto con la tecnologia, forse persino il mio rapporto con l'intero universo.
Ma poi, all'improvviso tutto divenne chiaro. Come se quell'accozzaglia di caratteri casuali fosse diventato all'improvviso uno di quei pensieri-in-140-caratteri da social network tanto di moda. Breve, conciso, forse persino ridicolo.
domenica 30 maggio 2010
Ed è andato in onda OGGI...
Sì, se volete clickate per ingrandire. 450k/s: mi è arrivato in venti minuti... gosh, ancora devono completare i sottotitoli.
giovedì 20 maggio 2010
sabato 3 aprile 2010
Ma per chi mi hanno preso?
Questo riepilogo non è disponibile.
Fai clic qui per visualizzare il post.
mercoledì 31 marzo 2010
Google ricerca immagini e SafeSearch
"SafeSearch? Naaa, non serve, tanto BigG non indicizza immagini porno"
Uhm, SafeSearch sulle mie impostazioni è disattivato, quindi chissene. Dunque, per quella slide che mi ha chiesto Tizio ci vuole un'immagine carina. Ma vediamo se trovo un'orsacchiotta di peluche in gonna e fiocchetto rosa sulle orecchie. Cosa si cerca su Google Immagini? Ovvio "teddybear skirt".
Ora, quello che intendevo io si trova fra i primi risultati, ed è l'immagine che vede alla vostra sinistra.
Semplice, oserei dire persino efficace, e volendo potrei fermare la ricerca qui.
Ma no... ma prima vediamo se per caso qualche altra immagine può stuzzicare un po' di più la mia immaginazione (devo fare altre sei slide), o che possibilmente sta meglio con la veste grafica della slide, e tante belle menate gratuite a piacimento: alla fine quando ho pensato alla ricerca, mentre guardavo le immagini che venivano è anche venuta fuori la mia anima di plantigradofilo, per cui qualche immagine di orsacchiotti di peluche mi fa sempre rilassare un po'.
Il punto è però un altro.
Questa tipetta in tutù vi viene fuori nella prima pagina della risposta alla ricerca "teddybear skirt" [aka: "orsacchiotto in gonna", anche perché non so bene come puntare al femminile in inglese... she teddy, forse? (-: ], ma dato che sto continuando a cercare, clicko semplicemente su "Avanti" e vado alla seconda pagina dei risultati.
Ed ecco che in mezzo a formine da biscotti, interno di teddy-bear-shop e peluche in abiti vittoriani, mi casca l'occhio su un'immagine.
La didascalia spiega molto laconicamente solo "plays with her teddy" e il link al sito http://russianteensclub.qualcosa... mi fa capire che decisamente sono entrato nella strada sbagliata.
E si, in effetti c'è la gonna, e c'è anche l'orsacchiotto... e c'è anche una tipa che gioca col peluche (-:
... ma c'è anche un consiglio spassionato: da oggi soprattutto se avete figli piccoli che usano il PC e internet usate il filtro SafeSearch nella ricerca immagini di Google, perché come vedete a imbattersi in scene dal contenuto esplicito pure cercando cose innocenti non è così difficile come possa sembrare.
E se ancora non mi credete, provate a fare qualche ricerca col SafeSearch disattivato, di qualunque cazzata a piacere, e scoprirete come è vera la teoria che qualunque argomento si possa ricercare su internet, ci sono almeno cinque siti osè che rispondono alle caratteristiche richieste. (-:
Uhm, SafeSearch sulle mie impostazioni è disattivato, quindi chissene. Dunque, per quella slide che mi ha chiesto Tizio ci vuole un'immagine carina. Ma vediamo se trovo un'orsacchiotta di peluche in gonna e fiocchetto rosa sulle orecchie. Cosa si cerca su Google Immagini? Ovvio "teddybear skirt".
Ora, quello che intendevo io si trova fra i primi risultati, ed è l'immagine che vede alla vostra sinistra.
Semplice, oserei dire persino efficace, e volendo potrei fermare la ricerca qui.
Ma no... ma prima vediamo se per caso qualche altra immagine può stuzzicare un po' di più la mia immaginazione (devo fare altre sei slide), o che possibilmente sta meglio con la veste grafica della slide, e tante belle menate gratuite a piacimento: alla fine quando ho pensato alla ricerca, mentre guardavo le immagini che venivano è anche venuta fuori la mia anima di plantigradofilo, per cui qualche immagine di orsacchiotti di peluche mi fa sempre rilassare un po'.
Il punto è però un altro.
Questa tipetta in tutù vi viene fuori nella prima pagina della risposta alla ricerca "teddybear skirt" [aka: "orsacchiotto in gonna", anche perché non so bene come puntare al femminile in inglese... she teddy, forse? (-: ], ma dato che sto continuando a cercare, clicko semplicemente su "Avanti" e vado alla seconda pagina dei risultati.
Ed ecco che in mezzo a formine da biscotti, interno di teddy-bear-shop e peluche in abiti vittoriani, mi casca l'occhio su un'immagine.
La didascalia spiega molto laconicamente solo "plays with her teddy" e il link al sito http://russianteensclub.qualcosa... mi fa capire che decisamente sono entrato nella strada sbagliata.
E si, in effetti c'è la gonna, e c'è anche l'orsacchiotto... e c'è anche una tipa che gioca col peluche (-:
... ma c'è anche un consiglio spassionato: da oggi soprattutto se avete figli piccoli che usano il PC e internet usate il filtro SafeSearch nella ricerca immagini di Google, perché come vedete a imbattersi in scene dal contenuto esplicito pure cercando cose innocenti non è così difficile come possa sembrare.
E se ancora non mi credete, provate a fare qualche ricerca col SafeSearch disattivato, di qualunque cazzata a piacere, e scoprirete come è vera la teoria che qualunque argomento si possa ricercare su internet, ci sono almeno cinque siti osè che rispondono alle caratteristiche richieste. (-:
venerdì 26 marzo 2010
C'è un po' d'Italia anche a Auckland?
Compro spesso su e-bay.
Compro ogni genere di piccolo gadget, che mi torna utile in moltissime situazioni.
Ultimamente, girando su e-bay, trovo un venditore italiano, con il prodotto che mi interessa dichiarato venire dall'Italia, a un prezzo più che accettabile.
"Vabè, dai. Manco a cercare lo stesso affare scrauso a 3 euro a Hong Kong che ci mette due mesi ad arrivare; fai l'ordine: tac! paga subito con paypal: tac!".
E a questo punto passano dei giorni. Molti giorni. Troppi giorni. Contatto il venditore ma non ottengo nessuna risposta. Passano ancora dei giorni, e finalmente ieri arriva una busta dalla NUOVA ZELANDA.
"Dalla Nuova Zelanda? Ma io non ho ordinato nulla dalla Nuova Zelanda..."
Niente? Altro che niente: proprio l'oggetto che avevo ordinato!
Ricontrollo l'inserzione. "Luogo in cui si trova l'oggetto: ITALIA". Cerco i dati sul venditore, e il venditore è di Hong Kong.
Mi dispiace amico, ma questo è prendermi in giro: a questo punto cercavo direttamente a Hong Kong: tu non puoi dirmi che spedisci dall'Italia con posta prioritaria quando invece il pacco gira mezzo mondo.
Feedback neutro (no, per rilasciarlo negativo devono scomparire oggetto e danari, sono onesto in questo), e dalla busta mi salta fuori persino un bell'avviso, in cui questo bravo tomo dopo avermi preso in giro per la spedizione, mi prende in giro ANCHE sulla valutazione.
No, gioia bella. Cinque stelle te le sogni, e le stronzate che mi dici sulla possibilità che e-bay ti faccia pagare di più in caso di valutazioni inferiori alle cinque stelle... ma a chi? Ma dove? Ma per favore...
I miei 90 feedback positivi me li sono guadagnati facendo la persona seria, onesta e affidabile. Mi aspetto la stessa cosa da parte dei venditori!