sabato 20 dicembre 2008

Il viaggio in treno

[Ladies and gentleman, questa storia l'ho scritta nel 1993. Un po' di rispetto, sil vouz plait! (-: ]

Nove e mezzo, stazione ferroviaria di Siracusa, fine di maggio.
Il sole splendeva alto nel cielo terso, proiettando tutto intorno una calura umida insopportabile, difetto delle città di mare; la stazione sembrava deserta: si vedevano soltanto un uomo grassoccio in canottiera (e sudaticcio) sulla cinquantina, che sorseggiava a fatica un caffè freddo e contemplava il panorama appoggiato all'uscio della porta del bar.
Alla sua destra, a pochi metri, c'era un ragazzo biondo; anch'egli sudato, seduto sull'unica panchina ombreggiata di tutta la stazione aspettava facendosi un po' d'aria con una copia spiegazzata della Settimana Enigmistica.
Dopo qualche minuto l'altoparlante annunciò, con voce roca: "Interregionale 17325 per Modica e Ragusa è in partenza dal primo binario piazzale est; espleta esclusivamente servizio di seconda classe".
Sulla sinistra del bar, poche decine di metri a lato dell'assolato prolungamento del primo marciapiede, c'era la vecchia littorina verdognola, vuota, che si cuoceva al sole da quasi mezzora.
La stazione dopo quel messaggio riprese un minimo di vita: il ragazzo sulla panchina si alzò, prese un borsone e si avvicinò al treno, seguito dall'uomo del bar, che nel frattempo aveva scagliato il bicchiere di plastica, pieno ancora a metà di quel liquame marroncino, nel cestino vicino alla porta del bar.
Dietro di loro si raccolse una piccola folla: due soldati, una giovane donna con un bambino e una bambina, altri due uomini stanchi e sudati che discutevano fra di loro in stretto dialetto dell'entroterra.
Tutti quanti salirono e presero lentamente posto sul treno. Poco dopo arrivò con passo strascicato anche il capotreno, con la divisa scura madida di sudore.
Il sole batteva sul suo tesserino bianco, ed era praticamente impossibile riuscire a leggere "Rontersi Fabio, Capo Treno Titolare", senza restare abbagliati.
L'uomo salì sul treno, percorse rapidamente il corridoio ed aprì la porta della cabina di guida, quindi disse al conducente: "Filippo, hai già firmato? No? Ci penso io, allora...".
Di nuovo Rontersi percorse il corridoio verso la piattaforma, scese e fece un cenno con il braccio verso la dirigenza, per richiamare la capostazione.
Arrivò una ragazza che non avrà avuto più di venticinque anni, in camicia scura con le maniche arrotolate alla meglio e un cappello rosso che doveva tenerle la testa in una morsa di caldo terribile.
La giovane diede una cartelletta in mano a Rontersi, che osservò il foglio, lo firmò e lo restituì; immediatamente la giovane si scostò dal treno e alzò uno straccetto verde consunto in direzione della testa del treno.
Il vecchio vagone fischiò, e iniziò a muoversi con una buona scrollata.
Il capotreno infilò la chiave in un buco a lato delle porte, che si chiusero sibilando debolmente, quindi entrò nel vagone e convalidò i biglietti.
Rientrato infine in cabina, prese posto sullo strapuntino di destra e iniziò a leggere il giornale.
I due soldati cominciarono a parlare tra di loro, il tizio del caffè si aprì un giornale sportivo e prese a leggerlo con interesse, mentre i due uomini che prima discutevano in dialetto, sonnecchiavano; la donna con i bambini era immersa nella lettura di una rivista, mentre il bambino giocava con un videogame portabile che suonava una musichetta ridicola e martellante. Infine la bambina guardava il panorama fuori dal finestrino.

Il sole era sempre alto in cielo e il caldo era sempre insopportabile. Dopo qualche dall'inizio del viaggio, ci fu il momento.
Il momento di distrazione: il momento in cui nessuno badava a quello che succedeva fuori dal treno.
Mentre il capotreno leggeva il giornale, il macchinista si era giusto abbassato un attimo per prendere dal borsello gli occhiali da sole perché si era quasi abbagliato. La donna continuava a leggere la rivista, mentre Marco, un bambino di cinque o sei anni, continuava con il suo giochetto demenziale.
Elena, più o meno della stessa età del fratellino, era sempre intenta a guardare il panorama fuori dal finestrino. Forse la bambina era, in quel momento, l'unico essere umano che si accorgeva di quello che succedeva fuori dal treno, e che non si era abituata del tutto all'afa. Ma ci fu un attimo, un solo attimo, terribile. La piccola Elena si era distratta solo un istante, solo un terribile momento: aveva abbassato gli occhi per guardare il fratellino impegnato sulla macchinetta sonante...
Subito si oscurò il cielo, e l'afa divenne di colpo un freddo penetrante. La prima persona che si accorse di questo, fu proprio quella che forse aveva scatenato tutto: Elena. Non appena rialzò gli occhi, con un fil di voce pronunciò: "Mamma: ho paura... Il temporale, i tuoni... no...".
Ma nonostante il basso tono di voce ed il rumore del treno, il silenzio che si era formato aveva fatto risaltare le parole della piccola. Ormai, però, il danno era fatto.
Tutti i passeggeri osservarono quello che succedeva fuori dal finestrino, e il tizio del caffè disse: "Meno male, viene da piovere, finalmente va via il caldo!"
Tutti approvarono, ma Elena no: la vista di alcuni lampi in lontananza la impauriva; Marco, invece, non si preoccupava, poiché - evidentemente - non aveva paura, e dopo un po' si mise persino a canzonare la sorellina, impaurita.
La madre cercò di rassicurare la piccola; dopo qualche minuto il giovane biondo della panchina si avvicinò al gruppetto, si sedette di fronte alla bambina e le disse: "Ciao, io mi chiamo Oscar... Stai un po' tranquilla, ti va di giocare con me?"

Finalmente Rontersi alzò gli occhi dal giornale e, con il sudore congelato addosso, disse al conducente: "Ma che diavolo succede?". Incrociò la faccia pallida e stravolta del macchinista: "Filippo, cosa c'è? Va tutto bene?".
Il macchinista non rispose subito alle domande del capotreno, ma dopo qualche istante di incertezza riuscì a dire, quasi con un filo di voce: "Fabio... il tracciato... non corrisponde. Non è questa la linea... dopo il passaggio a livello di Santa Teresa ci sono sette curve, e noi ne abbiamo fatte solo due, ora il tracciato è... dritto..." nel dire quest'ultima parola, il macchinista fece segno al collega con la mano, indicando di fronte a loro il binario chiaramente visibile per almeno tre chilometri, rettilineo in mezzo ad una specie di viale alberato. "Fabio, non ci sono scambi... dove minchia siamo finiti?"
Guardarono davanti a loro, la littorina che andava avanti senza battere ciglio.
E c'era quel cielo buio, quell'atmosfera densa, quel freddo.
Il capotreno dopo qualche istante uscì, pallido, dalla cabina di guida, avvicinandosi ai finestrini per esaminare il panorama, e finalmente anche i passeggeri del treno si accorsero del fatto che qualcosa sembrava cambiato.
Una preoccupazione, non proprio panico, assalì tutti i passeggeri del treno. Le uniche persone che erano rimaste apparentemente tranquille erano i due soldati, che si erano svegliati e continuavano a dialogare fra di loro, come se niente fosse.
Oscar continuava a distrarre la piccola, ma dai suoi occhi traspariva una specie di timore, come di consapevolezza.
Il macchinista intravide una costruzione e aprì i freni: il treno giunse lentamente ad una stazione che nessuno aveva mai visto, senza nessun nome o segno distintivo. Sembrava uno scheletro di edificio abbandonato in mezzo alla campagna.
I passeggeri erano increduli, e continuavano a chiedersi fra di loro cosa succedesse. Ad un certo punto uno dei due uomini dell'entroterra sbottò verso il capotreno: "Beh... capo: che succede? Dove spacchio siamo?".
Lui guardò l'uomo con un espressione del volto tale che non ci sarebbe stato bisogno di aggiungere: "Non ne ho la più pallida idea".
Questa atmosfera di irreale tensione durò alcuni minuti, poi di colpo i due soldati si alzarono, uno dei due richiamò l'attenzione dei passeggeri e chiese il silenzio; subito dopo l'altro cominciò: "Siamo esseri viventi di un'altra dimensione, ma non siamo qui in pace. Eravamo venuti in missione segreta, ma purtroppo siamo stati scoperti, e siamo stati costretti a fuggire, per evitare la cattura. Purtroppo per riuscire a scappare subito l'unica possibilità era quella di rapirvi; però adesso che abbiamo rivelato il nostro segreto, non possiamo liberarvi; sarete nostri prigionieri. Il treno verrà ritrovato fermo sulla linea, poco dopo il passaggio a livello di Santa Teresa Longarini. Di voi non se ne saprà più niente.".
La gente sul treno era impaurita, la giovane madre teneva stretto a se Marco, mentre Oscar teneva la piccola Elena. Forse la bambina era stata la causa scatenante di tutto, forse non si rendeva conto di quello che succedeva, forse se ne rendeva conto, e aveva paura.
Non riusciva a parlare, a tremare, a reagire; l'unica cosa che le riusci' di fare, quasi meccanicamente, fu quella di guardare negli occhi uno dei soldati, senza accorgersene.
Il soldato che aveva parlato capi' che quella era una manifestazione, se pur strana, di paura, ed impallidi'.
Repentinamente ritorno' il cielo sereno e l'afa; il panorama esterno cambio', dalla stazione all'aperta campagna. Tutti i passeggeri rimasero increduli e attoniti. I due soldati erano sempre pallidi, sudavano freddo.
Di colpo si spalanco' la porta di accesso alla cabina di guida e sali' un ragazzo, che poteva avere si e no vent'anni. Il ragazzo stringeva nella mano sinistra una specie di pistola. Tutti lo guardarono, e immediatamente disse, rivolto ai due soldati: "Voi due, maledetti, non mi conoscete, ma sapete chi sono. Sono il medium che vi da la caccia da un interminabile anno. E non avrei mai immaginato di arrivare a tanto: vi siete traditi come due idioti... Io non posso sintonizzarmi sulle vostre menti e leggere i vostri pensieri, poiche' voi siete diversi da me; gia', voi, ma non la gente che c'e' su questo treno. E in special modo la bambina che mi ha guidato inconsapevolmente qui... Voi non sapete quanto puo' essere forte lo shining di un bambino impaurito, non lo immaginate neanche... Quando ho sentito la paura della piccola Elena, non capivo cosa c'entrasse con voi, ma la ho seguita, e vi ho trovati.".
Dopo queste parole, il giovane alzo' la pistola e la punto' contro uno dei soldati, sotto gli occhi increduli di tutti i passeggeri. Il soldato, che prima aveva chiesto silenzio, prese la parola e disse: "Non puoi farci nulla in questo mondo, e' inutile che ti sforzi, dovresti saperlo anche tu.".
Il ragazzo sogghigno', e gli rispose sarcasticamente: "Si' che lo so, infatti quest'arma non viene da questo mondo".
Intorno al treno risuonano due colpi secchi, seguiti dal gridolino strozzato della piccola Elena, spaventata. Il giovane abbasso' la pistola e guardo' in direzione dei due corpi esanimi; dopo pochi secondi i due cadaveri si dissolsero, come magicamente, e caddero in terra le due pallottole luccicanti, che il giovane raccolse. A questo punto, passando dalla cabina, salirono alcuni agenti di polizia, che aiutarono tutti i passeggeri a scendere ed a aggiungere a piedi la stazione di Santa Teresa Longarini, poche centinaia di metri dietro al treno.
Pochi minuti dopo, mentre Elena, Marco e la madre si riprendevano dallo shock, il giovane si avvicino' alla piccola Elena, e le disse: "Mi dispiace sapere che hai avuto paura, ma dovresti essere contenta del fatto che sei stata tu, in realta', a salvare tutti quanti...".
"Sì, forse... Ma dimmi, tu... come ti chiami?".
"Roberto. E non sono da solo. Ogni volta che avrai paura, ci sara' sempre qualcuno pronto ad aiutarti.", il giovane mostrò la mano sinistra aperta e vuota, la chiuse a pugno rapidamente e poi prese la mano sinistra di Elena, facendole cadere qualcosa dentro. Le chiuse la mano e si allontanò, sorridendo.
Elena aprì la mano, trovandoci dentro una piccola sferetta (forse un centimetro di diametro) luccicante e molto pesante, poi tornò con lo sguardo verso Roberto, che nel frattempo aveva raggiunto un fuoristrada. Roberto salì al posto del guidatore, ma la piccola non poté non notare che sul sedile passeggero era seduto Oscar, il ragazzo che la aveva tranquillizzata a proposito del temporale.
L'auto si girò e ripartì scomparendo dietro il polverone della stradina di campagna che correva vicino ai binari, e molti portarono per un attimo lo sguardo in quella direzione.

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